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Starr Cullars

Nel numero di marzo di Bass Player c’è una bella intervista a Starr Cullars, l’ex bassista dei Parliament-Funkadelic e ora artista solista, dove si racconta come ha iniziato e il suo incontro ravvicinato con Prince.

Come hai cominciato a suonare il basso, Starr?

Vengo da Philadelphia, Pennsylvania. Mio padre era un professore di scienze e anche mia madre era un’insegnante. Chiesi in regalo una chitarra quando avevo cinque anni e ricordo che mio padre mi regalò una piccola chitarra di plastica Roy Rogers. L’ho guardato, gliel’ho restituita dicendo: “Voglio una chitarra vera”. E lui si chiese: “Come fa a sapere cos’è una vera chitarra?” E mi dà una piccola chitarra classica Yamaha e io inizio a prendere lezioni di chitarra. Ho studiato anche violoncello e viola. All’epoca alla radio di Philadelphia c’erano tutti quei grandi gruppi degli anni Settanta come Earth, Wind And Fire, Parliament-Funkadelic e Cameo, così ho iniziato ad ascoltare il basso. Se ricordo bene, ho iniziato a suonare il basso con la chitarra acustica prima di passare a un vero basso.

Qual è il tuo equipaggiamento preferito in questi giorni?

In questo momento sto costruendo un nuovo impianto. Probabilmente sarà Mesa Boogie. Voglio un suono di basso che sia incisivo e potente ma che non perda quella risonanza arrotondata. Ho suonato anche Trace Elliot e Gallien-Krueger, e sono fantastici perché puoi ottenere gli alti che sono importanti nel funk. Non sono una persona dai grandi effetti. Mi piace che il basso suoni come un basso, ma quando uso gli effetti mi piace un divisore di ottava. Voglio mantenerlo rock. Per i bassi, ho optato per un Fender Precision che ho modificato con alcuni pickup EMG e un ponte Badass. In questi giorni amo la Yamaha.

Come entrasti in contatto con Prince?

Intorno al 1989, quando ero al college, durante il mio ultimo anno alla Duquesne University di Pittsburgh, ho scoperto che Eric Leeds, il sassofonista di Prince, e il suo trombettista Matt Blistan avevano frequentato anche loro la Duquesne, così ho raccolto delle informazioni e ho iniziato a scrivere. Siamo diventati amici e ho mandavo loro dei demo. Ho anche inviato i nastri delle mie canzoni a Paisley Park, ma continuavo a ricevere lettere di rifiuto, quindi ho deciso di andarci, a Minneapolis. Torno a casa per Natale e dico a mio padre: “non regalarmi niente per Natale, dammi solo i soldi per la benzina così posso andare a Minneapolis e ottenere un contratto discografico con Prince.”

Quanto è durato il viaggio?

Ci sono volute circa 16 ore per arrivarci. Il mio compagno di stanza Armand e io siamo andati da Pittsburgh a Minneapolis in una tempesta di neve. Non avevo manco l’età per bere. Avevo 18 o 19 anni. Per arrivare a Minneapolis abbiamo seguito un rimorchio di un trattore attraverso una tempesta di neve. Faceva freddo e non avevamo abbastanza soldi per un hotel, così abbiamo preso una stanza all’Università del Minnesota.

A quel punto pensavi di bussare alla porta di Paisley Park?

Fondamentalmente sì! Ci arriviamo e troviamo la villa di Prince dalle parti di Excelsior. Aveva un grande mulino a vento viola sul retro della sua casa, tutto illuminato, e ho pensato: “Questa deve essere la sua casa”. L’unica persona in zona che poteva avere un mulino a vento viola doveva essere Prince, giusto? Così vado dalla guardia di sicurezza e gli do il mio piccolo pacchetto dimostrativo, e lui mi dice che Paisley Park si trova dietro l’angolo. Vado a Paisley Park e i cancelli del parcheggio sono aperti, quindi entro. Prince ha parcheggiato le sue BMW – gialle, nere e viola – quindi alzo i tergicristalli e lascio note con scritto: “Caro Prince. Ho guidato 16 ore per portarti la mia demo. Con affetto, Starr Cullars”. L’ho fatto per tre giorni di seguito, perché non sarei andato da nessuna parte finché non avrei visto quest’uomo.

E poi che è successo?

Alla fine vengo invitato da Eric Leeds e Matt Blistan, che erano a Minneapolis, quindi entro con un basso in spalla e le mie cassette in una borsa. Il manager di Prince Steve Fargnoli era lì. Abbiamo parlato per un minuto, poi Prince è entrato. Ho detto “Ciao, mi chiamo Starr Cullars” e lui mi ha stretto la mano. E non mollava – continuava a tenermi la mano mentre eravamo lì. Ho detto “Sono qui per darti il ​​mio demo tape” e lui dice: “Puoi darlo a Eric Leeds al piano di sopra, e poi lui lo darà a me”. Ora dico: “Amico, ma vaffanculo! Ho guidato 16 ore in tutto il paese. Te lo sto dando adesso”. Prince dice: “Ascolta, ti dico una cosa, vai di sopra e porta la cassetta a Eric Leeds in ufficio, e gli dici che se non ricevo la tua demo stasera, prenderò a calci il fottuto culo di qualcuno”.

Wow

Infatti. Così ho detto “Okay!”, Gli ho strappato di mano il nastro e sono corsa su per le scale. Ho trovato Eric e gli ho detto: “Prince dice, che se non gli porti il ​​mio demo tape stasera, prenderà a calci il fottuto culo di qualcuno!”. Eric apre il primo cassetto della scrivania e dentro ci sono tutti i miei demo. Dice: “È tutta roba tua, Starr?” Io dico: “Sì, sono io”. Dice “Oh, non sapevamo chi fossi. Riceverai una chiamata stasera”.

Quindi la strategia ha funzionato?

Ha funzionato, perché ho preso un appuntamento la sera successiva per andare a suonare il basso con Prince e la sua band di allora, che aveva Sheila E. alla batteria. Vado a Paisley Park la sera successiva e mi metto con la band. Mi dicono di aspettare perché Prince sta scendendo. Sono nervosa da morire, perché dopo tutta questa follia, lui suonerà davvero con me. Tutti gli altri sono dalla parte dell’ingegnere dello studio, guardano attraverso il vetro, e io sono seduta nella studio con il mio basso. Alla fine, Prince entra nello studio. È vestito in bianco e nero dalla testa ai piedi e quando entra nella stanza ha quest’aura che entra nella stanza con lui. Ha in mano tutti gli appunti che gli ho scritto e inizia a leggerli ad alta voce. “Caro Prince, ho guidato 16 ore per darti il ​​mio demo tape…”, e dice “Una ragazza bassista. Non ho mai visto una bassista donna prima”. Guarda attraverso il vetro il mio compagno di stanza, Armand, e dice: “È il tuo ragazzo?” E poi dice: “Sì, sai, sono duro con i musicisti. Non ho mai avuto una ragazza che suonava il basso” e poi guarda di nuovo oltre il vetro e dice “Vai a letto con lui?” Mi sto stufando di tutta queste cagate, quindi mi alzo – e sono più alta di lui, lui mi guarda dal basso – e dico “Senti, amico, hai ascoltato il mio demo o no?” e lui dice: “Sì, penso che tu abbia molto talento. Penso che tu abbia molto potenziale e voglio lavorare con te”.

Hai suonato con lui?

L’ho fatto. Prende la chitarra, la imbraccia e dice “Siamo in si bemolle” e inizia a suonare. Sheila E. inizia alla batteria, il dottor Fink alle tastiere, io inizio a suonare il basso. Prince si agita. Entra ed esce dalla mia visuale. È in ginocchio. Balla. Questa cosa va avanti per circa 20 minuti finché Prince se ne va; Miles Davis, con cui stava suonando in quel momento, aveva bisogno di lui. Continuo a suonare con Sheila, e quando finiamo ci sediamo e parliamo dell’essere donne musiciste – di quanto sia raro e difficile – e lei mi dice che non avrebbe mai potuto fare quello che ho fatto io. Sono tutti sbalorditi dal mio coraggio e dal mio potenziale.

E poi che è successo?

Hanno detto “Prince ti chiamerà”, così sono tornata nella mia stanzetta all’università. Il giorno dopo chiama e dice: “Ciao, sono Prince. Volevo solo ringraziarti per aver suonato con me” e ho pensato,”No, grazie a te. Grazie mille”. Dice: “Non voglio dirti cosa fare, ma puoi restare con me mentre finisco Lovesexy, e poi andremo in tour”. Ora, sapevo che non mi avrebbe assunto: a quanto avevo capito, mi stava invitando a frequentarlo come ‘concubina’. Anche se ero giovane, l’avevo capito. Dissi: “Va bene, ti dico una cosa. Torno a casa e finisco la scuola, tu finisci Lovesexy, e poi ci vedremo”. Lì ha risposto: “Va bene, ti cercherò”.

Fu una decisione saggia.

Decisamente. Era stupendo, non fraintendermi – era molto bello – ma anche se ero giovane e non sapevo molto del lavoro, sapevo che non sarei diventata la sua ragazza. Penso che alla fine abbia finito per rispettarmi per questo.

Poi sei entrata a far parte del Parlamento-Funkadelic.

Sì. Sono venuti a Philadelphia un paio d’anni dopo, forse intorno al 1991 o ’92, e ancora una volta stavo distribuendo i miei demo tape nel backstage. Alla fine sono stata invitata a una serie di spettacoli che facevano a New York, e poi hanno fatto alcune date a Washington. Fu durante gli spettacoli della DC che fui effettivamente assunta e ho firmato il contratto. All’epoca [il frontman dei P-Funk] George Clinton aveva un contratto con l’etichetta Paisley Park di Prince, e gli raccontai la mia storia sull’incontro con Prince. Una volta stavamo andando a Paisley Park per registrare, e ho detto a George: “Sai, non sono sicura che Prince si ricorderà di me”. George dice: “Sei pazza? Quante ragazze irrompono nel suo santuario privato con un basso? Ti ricorderà”. Dico, “Va bene, vedremo”. Facciamo il primo tour europeo con P-Funk, suonando in Inghilterra e ad Amsterdam, e torniamo e andiamo a Minneapolis. Il gruppo di Prince amava i P-Funk: per loro sono degli dei. Quando Prince mi ha visto di nuovo, voleva che andassi a lavorare con lui.

E…?

George dice “No, non puoi andare”, quindi non ci sono mai andata. Prince sbucava negli spettacoli di P-Funk l’anno e mezzo successivo in posti diversi. Se la godeva a suonare con loro. Così è cominciata la mia vita professionale. Il resto è storia!

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Perché Prince può essere considerato un genio?

Prima parte (31 agosto 2003)

Chiunque segua le gesta di Prince, e si vanta con gli amici di esserne fan, prima o poi deve rispondere a questa domanda: perché Prince viene considerato un genio ?

Prima di tutto: anch’io, che scrivo qui, credo che Prince sia un genio ? Sì, ne sono convinto anch’io. Più di una volta mi ha dimostrato con i fatti di poter farmi dimenticare tutto ciò che sapevo sulla Musica e sulla sua musica. Faccio un esempio.

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Computer Music

Parliamoci chiaro, io sono un perito informatico. Non esisterei se non fosse per i chip, la silicon valley, Steve Jobs & Bill Gates, Pro Tools & Cakewalk, il Commodore Amiga. Trapasserò, speriamo presto, davanti a una qwerty. Quando la mia vita incrociò la musica di Prince, a Paisley Park si era messa da parte l’elettronica. Siamo nel 1991 e dopo anni di batterie elettroniche, Prince riprende i vecchi amici di Minneapolis (che poi era solo Sonny Thompson) e fa un album di grande successo. Non il mio preferito, ma senza dubbio un album importante.

Riavvolgiamo il nastro un’altra volta.

Avevo già acquistato Lovesexy e Batman, ma non era scattata la scintilla. Quando andammo a vedere il film del pipistrello manco rimasi colpito dalla giornalista, pensa te, ma da quel pazzo-erotomane di Jack Nicholson. Eravamo nel cortile della biblioteca di Gorgoncity, a pochi passi dal parco, il cui guardiano era stato rinominato il parcheggiatore. D’estate passavo dal giornalaio, prendevo la Gazzetta dello Sport e in bicicletta andavo a leggerla al parco. Giorgio, il cui papà faceva il frontaliero per le Ferrovie dello Stato a Lugano, mi disse: sembri un pensionato. Avevo 18 o 19 anni. Già puntavo al tramonto, più che all’alba. Mentre quei quattro insistevano con il trovatevi in garage per suonare, io facevo musica nella mia cameretta. Ero depresso. Invece un giorno arrivò 1999. Maccheccazzo. Tutta questa musica insieme? Quella batteria elettronica lanciata per diversi minuti, con pochi suoni, a volte con degli scherzi, era la perfezione. Meno è più. Anche se più me lo meno. più vengo meno. Cazzate. E poi c’era la chitarra elettrica e: I like it funky! Ancora oggi, 1999 è l’album che mi predispone al rimedio chimico ed elettronico. Non avevo ancora iniziato la mia fase terapeutica, ma già sentivo qualcosa di simile dentro di me. Lui aveva immaginato il gioco di ruolo, ma con Jill Jones tra i cap-peli è più facile, no? Allontanando gli spiriti, sai che c’è una frase che potrebbe aprire la strada della felicità: Rain is wet, Sugar is sweet. Al telefono, uno sconosciuto mi disse: Te l’hanno detto che Prince è omosessuale? Cosa? Wendy & Lisa lo sputtanano. Che cazzomenefrega se Prince è omosessuale (a parte preoccupare daddy?). Parliamo di musica: ci sono persone che ancora stanno lì a discutere sulla genialità di Gary Numan, disse Prince. Gary Numan rispose: questa cosa mi ha aiutato. Ogni volta che qualcuno del genere parla positivamente di te, allora un sacco di persone lo leggono. Vedono il tuo nome sotto una luce positiva. E questi andranno a cercarti e vedere cosa fai, forse a qualcuno piacerai. Sembra che il riconoscimento abbia tenuto viva la mia carriera. Annotarsi sulla Moleskine: la felicità è figlia di ciò che pensi di te o di ciò che gli altri pensano di te? La signora tassista che portava Prince in giro per LA non sapeva che esistesse la new wave inglese. C’è questo film su Amazon Prime intitolato Control e dedicato Ian Curtis, cantante dei Joy Division. Il film è del 2007 ed è un ritratto della provincia inglese degli anni 70. Del proletariato pro-brexit. Proiettato in bianco e nero e diretto da Anton Corbjin. Curato nei particolari musicali (alcuni brani escono proprio dalle loro registrazioni). Sì, è la provincia Manchester (Ian tifava City, per dire), ma potrebbe essere Edina, Cernusco, Correggio o North Minneapolis. La musica è motivo di creazione per vincere le paure. Fino a diventare un boomerang; il complemento oggetto del dolore diventerà il soggetto. Arrivavamo dagli anni 60. La libertà sessuale all’Esselunga, la guerra in Vietnam si era chiusa al VAR, il paradiso in terra. Il sei politico. Tutti promossi senza fare una mazza. Quando poi siamo entrati negli anni 70 ci siamo accorti che la libertà non era nulla di buono. Che ci faccio adesso con tutta questa felicità se sono senza soldi? Piazza Fontana, l’anarchico Pinelli, l’omicidio Calabresi e i toscani che facevano tremare le mura della Casa dello Studente in Via Pascoli. Abbiamo perso la verginità; era un quarto di secolo che la DC ce lo metteva nel sedere. Ci mancava solo il Golpe Borghese per farci capire che non avremmo mai raggiunto la pace dei sensi. Io andavo a fare le elementari dalle parti di Piazza Leonardo da Vinci. Il mio primo giorno di scuola mio papà non c’era e venne mia mamma che fece delle foto spettacolari. Era il 1976, o il 1977, o il 1975. La mia maestra era antipatica e fascista. In quinta ci disse: Mussolini ha fatto anche delle cose buone. Non è vero un cazzo, vecchiadimmerda. Mi fanno ridere quelli che oggi si lamentano dei maestri cattocomunisti. Io ne ho avuto una che menava i poveri per dare ai ricchi.

Questi erano gli anni 70. Prince li prese, li mise in tasca e ci costruì sopra 1999. Ian Curtis provò a raccontarli, ma finì come finì. Nel 1980 i Pooh incisero Non Siamo In Pericolo. Gli anni 70 erano finiti. Non era il caso di continuare a darci delle bottigliate sui maroni. Perché non sfogarci con l’estetica? Mtv nasceva in quei giorni. Era il primo passo verso gli influencer (rob dè mat, Ferragni). E con l’arrivo dell’AIDS tutto divenne un grosso punto di domanda. Sembrava sufficiente guardare una ragazza sul metrò per diventare conclamati. Spaventati da un mondo inospitale: Welcome 2 AIDS, scrivevano le modelle sullo specchio dell’hotel quando ti svegliavi la mattina e lei se n’era andata. Avevano rovinato il sesso, rimuovendo l’amore. Avevano rovinato le personalità, rimuovendo le paure. Avrebbero rovinato l’estetica, rimuovendo il carattere.

Cristina dice che i computer erano il mio luogo sicuro. Lì era tutto o zero o uno. Non c’erano i miei genitori a litigare. Non c’erano i miei nonni a far litigare i miei genitori. Lì potevo anche avere un fratello e non un nemico. Lo costruivo con le mie forze. Bello o brutto, faceva quello che volevo io. Al limite andava in errore. Poi bastava gestire l’errore. Il computer non mi sputtanava con gli altri. Non mi sparlava dietro le spalle. Non sarebbe andato da mio papà a dirgli che avevo sbirciato nel regalo di Natale, come aveva fatto mia nonna. Mio papà tornò a casa e (letteralmente) saltò sopra al pacchetto, distruggendolo. Fu come una furia. Fu la sua risposta alla mia richiesta di diventare grande. Avevo detto: adesso che so che Babbo Natale non esiste, possiamo mettere i regali davanti all’albero? Si vede che non era d’accordo. Ma mia nonna non si poteva fare i cazzi suoi? Mio padre era capace di sfuriate nervose che spaventavano tutta la famiglia. Una cosa curiosa, che non ho mai ben capito, è che lui dopo queste sfuriate non veniva a cena. Oltre averci gentilmente donato qualche minuto di ansia e angosce (e la paura che potesse sfoderare l’arma d’ordinanza), ci mollava e non veniva a mangiare con noi. Io mi domandavo: ma che cazzo c’entra? Un egocentrismo portato all’eccesso. Mia mamma dice sempre: se il braccio ti fa male alzandolo, perché lo alzi?

Quella ricetta di Prince mi fu fatale. Quando lessi A Pop Life con tutte quelle vicissitudini famigliari. In qualche maniera mi rispecchiai. Quella capacità di catalizzare nella musica tutta la sua rabbia, fu una vera e propria epifania. Io, per il bene comune, non l’avevo mai fatto. A tratti forse, ma mai con la sua precisione. Va bene, va bene. Ho esagerato. Spero di senta l’ironia. Torno in me stesso. Non potevo certo mirare ai risultati di Prince. E poi io vivevo ancora con i miei. Non avevo Bernadette Anderson che mi potesse ospitare e insegnare: un po’ di disciplina è ciò di cui hai bisogno. Prince dedica una frase alla sua mamma adottiva, prima di dedicarne una alla madre (la sorella era già stata omaggiata). Non so se ci siamo capiti.