Non è giovedì, ma un breve flashback di quello che è stato il mio blog Trentuno Ventuno (formerly known as TreUnoDueUno) male non farà. 

Era dall’estate del 1990 (ben dodici anni !) che Prince non veniva in Italia a suonare e al suo ritorno c’ero anch’io. Come mai per così tanto tempo un suo tour non aveva toccato le nostre città? Strascichi legali: per problemi con l’agente della tournee del novanta era scappato dall’Italia senza finire alcune date e da quel momento non era più rientrato. In tutto questo periodo tante cose sono cambiate nella sua musica e nel suo mondo: il litigio, il divorzio con la Warner e la conseguente uscita dal circuito dei media, il cambio di nome e poi il passaggio al simbolo (qualcuno si ricorda di Tafkap? The Artist formerly known as Prince), il matrimonio con Mayte e il difficile momento del figlio, il divorzio da Mayte e il matrimonio con Manuela Testolini. E in tutto questo aggiungiamo che è diventato Testimone di Geova e vegetariano. E, come potete verificare nella pagina dedicata alla sua discografia, nel frattempo ha pubblicato una valanga di dischi: Diamonds and Pearls – The Love Symbol – The Hits – Come – The Gold Experience – Chaos and disorder – The Vault (tutti questi con la vecchia casa discografica) e The Beautiful Experience – Emancipation – New Power Soul – Crystal Ball (con the Truth e Kamasutra) – 1999 The New Master – Rave – The Rainbow Children – One nite alone. Alcuni acquistabili dal suo sito internet.
E, mentre sta per uscire il suo primo disco registrato dal vivo, lui arriva a Milano per l’unica data in Italia: avevamo lasciato una persona nel novanta e forse ne abbiamo trovato un’altra nel duemila e due.
Dico subito che quello di giovedì a Milano era il mio primo concerto di Prince, un concerto speciale perché visto come membro del suo club (www.npgmusicclub.com) e quindi da una posizione privilegiata.
Ecco un breve racconto di quella giornata.
Sono arrivato verso le 15.30 e fuori del palazzo si trovavano già un centinaio di persone, erano i membri, come me, del Npgmusicclub (NPGMC), eravamo tutti lì così presto perché nel nostro biglietto, oltre alla posizione riservata sotto il palco, era compresa la partecipazione ad un pre-show, dedicato solo a noi. Mi sono messo in coda e mi sono informato da due ragazze vicine se quella fosse la fila giusta e mi hanno suggerito di andare da un ragazzo a ritirare il mio numero; con stupore ho così potuto notare che era stato organizzato un coordinamento all’entrata, nato spontaneamente tra i fan italiani, risultato poi perfetto. I ragazzi stavano distribuendo dei numeri (stile supermercato) per organizzare la fila in modo civile. Mentre, oltre a noi, c’erano già quelli che con i biglietti “normali” che aspettavano davanti ai cancelli.
Piano, piano la fila ha cominciato ad entrare e dopo avere ritirato il “pass” plastificato ci siamo ritrovati nell’immediata vicinanza dell’ex-palatrussardi dove abbiamo passato gran parte del nostro tempo. E intanto scendeva la sera su Milano e con il buio arrivava anche il freddo. Alle 18 siamo entrati e ci siamo subito sistemati nella nostra area riservata, immediatamente sotto il palco, un posto davvero fortunato. Quelli che erano arrivati prima di me e che aspettavano davanti ai cancelli, senza essere membri del club, si sarebbero sistemati dietro di noi. Noi del NPGMC eravamo in un semicerchio transennato che delimitava la nostra zona da quella di tutto il resto della pubblico. Abbiamo visto tutto il concerto in piedi, ma senza essere pressati l’uno con l’altro. Abbiamo ballato tranquillamente, saltato e cantato.
Dopo pochi minuti dentro è arrivato Prince.
È salito sul palco e la band, cioè Npg – Renato Neto alle tastiere – Rhonda Smith al basso – John Blackwell alla batteria – Greg Boyer, Maceo Parker (storico sassofonista di James Brown) e Candy Dulfer (splendida sassofonista olandese) ai fiati e alle percussioni Sheila E., ha cominciato con lui una splendida Jam Session: il Santana Medley e dopo due chiacchiere con i membri del club, in una maniera veramente informale, come tra vecchi amici, Sheila E. ha preso il posto di Blackwell alla batteria e Prince ha imbracciato una chitarra basso ed hanno eseguito un’altra Jam.
Fra un brano e l’altro la prima cosa che ci ha detto è stato: “it’s too loud ?” (E’ troppo alto?) Le frasi scambiate con i ragazzi del club ci hanno mostrato un Prince a suo agio e onesto. Dopo un paio di “Bentornato in Italia” e “Italy loves you!” da parte del pubblico, Prince ha, molto naturalmente, mostrato una piccola parte delle sue preoccupazioni: “We’ll see if Italy loves me”. Non ho mai avuto dubbi che il suo concerto di Milano potesse avere qualche risvolto negativo o triste, ma quando siamo entrati, fuori non c’era la ressa che ho visto ad altri concerti. Eppure, il calore del pubblico durante il concerto lo sentivamo anche noi del club.
Ha presentato i membri della sua band e quando Maceo Parker è arrivato sul palco, con occhiali da lettura a metà del naso per vedere dove stava mettendo lo spartito, Prince l’ha visto e si è voltato verso di noi e, con un sorriso di intesa nei nostri confronti, ha detto: “Look at Maceo, isn’t he cool ?” (Guardate Maceo, non è forte?) Effettivamente questo sessantenne che ancora oggi suona funk e jazz con Prince e entra sul palco come se fosse un professore di musica ci ha fatto un bellissimo effetto. Prince ci ha poi confermato, purtroppo, che l’aftershow, spettacolo che generalmente si svolge qualche ora dopo il concerto normale e viene fatto in un locale della città, non era previsto, “le attrezzature devono partire per il prossimo concerto” è stata la sua risposta. Inoltre alcune coincidenze non hanno probabilmente aiutato lo svolgimento del aftershow: a Milano Prince avrebbe incontrato molti Vip (i Versace in testa) che sicuramente l’hanno invitato ai loro festini, e poi era Halloween, di discoteche libere per Prince non ce n’erano. E “last but not least”, a Milano Prince ha rivisto tre suoi vecchi musicisti che lavorano e vivono, quasi stabilmente, in Italia (Michael Bland, Tommy Barbarella e Sonny Thompson). Insomma quella sera non c’era proprio tempo per l’aftershow.
Ci ha chiesto più di una volta se dovevamo aprire le porte anche al resto delle persone e forse questo motivo più di altri, l’ha obbligato a fare solo due pezzi nel pre-show per una durata totale di circa 40 minuti. Poi abbiamo aspettato fino alle nove e un quarto quando è cominciato il concerto vero e proprio.
L’impressione che ho avuto era quella di incontrare un vecchio amico, che conoscevo bene e che aveva voglia di suonarmi un po’ di sue canzoni. Non avevo assolutamente davanti l’uomo che aveva venduto 15 milioni di copie di Purple Rain oppure quello che si scriveva “Slave” (Schiavo) sul viso quando era in piena lite con la Warner. No. Era un mio vecchio amico ed era un po’ che non lo vedevo.
Voi pensate che io sia il leader della band, in realtà non è così. La musica ci guida, noi suoniamo tutti nella stessa chiave, quella della musica. Un giorno il mondo capirà e si canterà tutti la stessa canzone.
Prince
Musicalmente il suo funk è piacevole, mai irritante, sempre melodico. La band segue alla lettera i suoi voleri, lui alza il volume, aumenta il passo e lo ferma (urlando “breakdown” nel microfono). Chiama i musicisti sul palco quando pensa sia il momento giusto e con molta improvvisazione. E’ stato piacevole vedere il concerto dall’area dedicata ai membri del club. Nessuno che ti spinge, nessuna ressa, eppure sei al massimo ad una decina di metri dal palco. Insomma l’idea del Npgmusicclub funziona.
Dopo il primo brano dove la sua chitarra comincia ad urlare. Lui dice: “Ciao Milano, il mio nome è Prince e stasera sarò il vostro deejay.” Ed ancora “Vera musica per la gente che ama la vera musica, a me non piacciono le radio”. Sul palco, e in tutto il palazzetto, comanda lui. Si canta e ci si muove quando lui lo decide.
Il momento migliore ?
Più di uno. Ho amato il funky prolungato di The Work Pt.1 o del successivo Jam, durante il quale ha chiamato uno di noi a ballare sul palco, con una semplice scusa: “are you a leader or a follower?” (sei una guida o un discepolo ?). Uno di quelli che urlava “follower” si è sentito rispondere da Prince: “follow me” (seguimi). Per tutto il tempo del brano funky, il “discepolo” ballava alla destra di Prince. Poi Candy Dulfer, su consiglio di Prince, è andata dal “ballerino discepolo” con il suo sax, e l’ha fatto muovere ancora di più. Ma non è stato l’unico del pubblico a salire sul palco con Prince e la band, un altro ragazzo e due ragazze si sono trovate sul palco e, in tutta verità, si muovevano discretamente bene. Poi Prince li ha chiamati al centro del palco e loro, dietro a lui, ripetevano le coreografie che lui faceva fino a quando li ha incoronati con “Ladies and gentlemen N’sync !”. E’ stato un fuori programma piacevole, in tutti i concerti che ho visto di altri musicisti, non mi era mai capitato di vedere un artista che chiamasse degli spettatori sul palco a ballare con lui, e per così tanto tempo, poi.
Prince parla anche del suo rapporto con i media, e parte la canzone Strange Relationship (Relazione Strana), tirata fuori da quel grande lavoro che è Sign o’ the times. La stessa Sign o’ the times, rifatta senza la batteria elettronica e il synth basso con cui nel 1987 era nata, basandosi sulla ritmica della batteria di John Blackwell e della chitarra elettrica di Prince, ha ritrovato nuova linfa in questo nuovo tour.
Bisogna sottolineare le capacità del batterista John Blackwell, non è da tutti i giorni vedere un persona che picchia sui tamburi come lui. Capace di colpire nello stesso momento i due piatti (ride e charleston) per tenere gli ottavi del ritmo. E picchiava sui tamburi con energia, tanto da inventare un passaggio in cui le mani si incrociavano per andare sui diversi piatti, la mano destra a sinistra e la sinistra a destra.
Come al solito, e da grande musicista qual è, Prince non ha paura di confrontarsi con brani di altri artisti. In questa tournee è stata la volta di un brano dei Led Zeppelin, Whole lotta love, ripreso con la sua chitarra sugli scudi. E in altri momenti il suo falsetto lasciava posto alla voce piena, questa sua caratteristica l’ha fatto diventare famoso in passato ed anche a Milano ce l’ha fatta sentire, la ricordo in Sometimes it snows in April, dove la scenografia prodotta dai fari ricostruiva una splendida nevicata su tutto il palco. Una grossa sorpresa all’interno della band era la presenza di Sheila E., direttamente dal periodo d’oro di Prince. Sheila E. a Milano faceva la sua bella presenza dietro le percussioni, ma ha avuto il piacere di suonare la batteria durante Purple Rain. Per poi prendere con sé un piatto della batteria e seguire il resto della band, ballando in giro per il palco, alla fine del concerto.
Man mano che passava il tempo e più si entrava nella sua dimensione, Prince si lasciava andare, le sue preoccupazioni sulla risposta del pubblico italiano (diecimila persone avevano intanto riempito l’ex-Palatrussardi) se n’erano andate. Come ho già detto, molte volte le frasi di Prince ci dicevano cosa fare. Si cantava rincorrendo una sua linea. E poi si cantava mentre lui cantava. Questo è Prince, ma questa è la musica in generale. E proprio di questo che ad un certo punto Prince ci ha parlato: “voi pensate che io sia il leader della band, in realtà non è così. La musica ci guida, noi suoniamo tutti nella stessa chiave, quella della musica. Un giorno il mondo capirà e si canterà tutti la stessa canzone.”
Gli ultimi lavori di Prince sono incentrati su riferimenti mistici ed influenze Jazz / fusion, quello di Milano è stato un concerto particolarmente influenzato da questo suo ultimo periodo, per il resto molti sono stati i vecchi Hit ripresi e rivisti. Indubbiamente ha voluto andare sul sicuro e ha funzionato. Dopo avere trascorso tutta la prima parte del concerto in un completo nero, la seconda parte (i bis), richiesti a gran voce da tutto il pubblico, l’ha fatta in un completo bianco, esempio seguito da alcuni componenti della band. Il concerto è stato ben forgiato, nessun caduta di stile oppure urla a sproposito. Tutti i musicisti, oltre a Prince naturalmente, sono di grande levatura e stile. Renato Neto, l’unico che suona le tastiere, ha una predilezione per l’elettronica. Dei fiati, della ritmica ho già parlato, rimane fuori solo la bassista: Rhonda Smith. Ideale compagna, secondo me, della musica di Prince, non disdegna fughe nel Jazz, partendo a suonare un contrabbasso elettrico gigantesco e usando poi un basso elettrico a cinque corde. Nel corso del concerto sono molte le influenze che si toccano e questo solo Prince riesce a farlo. C’è il momento di Jimi Hendrix e quello di Santana. Quello dei Led Zeppelin e di Joni Mitchel. Quello di James Brown e di Busta Rhymes. Ascoltare la musica di Prince, non è incontrare un solo artista, ma un musicista che fa suoi mille stili e poi li serve al pubblico alla sua maniera.
E poi c’è anche lui, con la Sua musica. Con Sometimes it snows in April, una triste, ma splendida ballata. Poi ci sono Take me with you e Pop Life che fanno aprire le anime. Poi The Ladder in pieno stile mistico (Tutti cercano la scala, tutti vogliono salvare l’anima. I passi che fai non sono una strada facile. Ma la ricompensa è grande, per quelli che vogliono andare. Tutti stanno cercando le risposte. Tutti vogliono sapere come la storia incominciò e come finirà. Cosa ce ne facciamo di metà storia, di metà di un sogno. Bisogna scalare tutti gli scalini.) E la canzone d’amore per eccellenza: The Beautiful Ones (The beautiful ones always seem to loose – Le belle sembra sempre di perderle.). In tutte queste canzoni, Prince, secondo me, non perde mai il filo della melodia. A volte le canzoni di Prince sono “difficili”, a volte anche strane. Ma mai senza melodia. Lui la nasconde, se vuole, bisogna sforzarsi per trovarla, ma c’è e la ricompensa è grande. Proprio come dice lui. Quando Prince si siede al piano è un Prince diverso da quello che suona la chitarra. Sono due lati della stessa persona. Prince al piano è intimo, è solitario: lo ascolti perché apri la porta e lui è in un angolo a suonare: per te. Prince alla chitarra e un Prince aperto, disponibile, che ti viene a cercare. Il finale con Days of Wild è stata, però, una chicca da soli intenditori, o da membri del club. Strana la vita di questo brano, al contrario di altre canzoni, Days of Wild è quasi completamente sconosciuto. Risaliva al tempo di Gold Experience (1994), ma non era stato pubblicato in quell’album. Presente solo nei bootleg dell’epoca, in versioni sia dal vivo che in studio, era stato pubblicato in Crystal Ball (disco venduto solo attraverso Internet), ma in una versione dal vivo. Nello scorso giugno, Prince ne ha pubblicato una nuova versione, sempre registrata dal vivo a Montreal, diversa dalla precedente. A Milano, quest’ultima versione è stata la canzone che ha chiuso il concerto. Days of Wild è un funky, con il cantato quasi rap e con frasi dal significato quasi incomprensibile. Per tutto il tempo della canzone Prince ha ballato su e giù per il palco, finendo anche a cantare sopra la fila di casse impilate ai lati del palco. In alcuni momenti si girava verso il backstage, fingendo di urlare a qualcuno che noi non volevamo lasciarlo andare via, mentre ci invitava a cantare “It ain’t over!” (Non è finito !)
Penultima data della tournee europea, Milano, forse, è rimasta nel cuore di Prince: al successivo concerto di Rotterdam, ultima data Prince avrebbe detto: I just came back from Milan, good people, kind hearts. (sono appena tornato da Milano, belle persone, cuori gentili).
Ora che è quasi passata una settimana e piano piano passeranno i mesi, cosa mi rimane del concerto?
Mi rimane un’unità di misura, ecco cosa ho e cosa lascia Prince. Cosa potrà fare qualsiasi altro musicista per superarlo?
Invitarmi a vedere il soundcheck? No grazie, già fatto da Prince.
Parlarmi prima del concerto? No grazie, già fatto da Prince.
Suonare la chitarra e le tastiere come quando Dio sa regalare ad un persona tanto talento? No grazie, già fatto da Prince.
Scrivere una ballata così piena di emozioni (Nothing compares 2 U) e poi dedicarla alla mia città? No grazie, già fatto da Prince. (Lui urlava: Nothing compares 2 U, Milano ! – Nessuno al tuo confronto, Milano ! Da in cima alle casse.)
Mostrarmi un batterista che suona tutti i piatti contemporaneamente? No grazie, già fatto da Prince.
Scrivere in un brano “It’s silly, no? when a rocket ship explodes and everybody still wants to fly” (No è stupido? Quando una navetta spaziale esplode, tutti vogliono volare.). No grazie, già fatto da Prince.
Portare una bassista sul palco con i pop corn e lui che ne prende un po’ da assaggiare prima del concerto? No grazie, già fatto da Prince.
Portare un sassofonista nero, con l’esperienza di quarant’anni di musica, che quando Prince gli chiede di suonare, scende sul palco, altrimenti rimane a fare il suo dovere con gli altri. Senza far pesare la sua esperienza e la sua età? No grazie, già fatto da Prince.
Dichiarare guerra a tutte le multinazionali del disco che ci fanno ascoltare e vedere sempre la stessa musica, fanno finte gare in televisione per portarci i nuovi cantanti, quando l’unica maniera in cui io credo, per diventare musicista, è partire dai garage, dire che odia le radio e che lui non è leader della band, ma che è la musica che comanda? No grazie, già fatto da Prince.
Ecco cos’è veramente Prince, un artisti con cui tutti devono, prima o poi, misurarsi. Prince ha dedicato la vita alla musica, come pochi altri prima di lui. Prince è la musica, se vuoi fare il musicista o amare la musica devi starlo ad ascoltare e capire.
Ecco cosa è Prince.
ps Ciò che è scritto qui, si basa sui miei ricordi e sull’immagini che ho impresse nella mia memoria, per questo motivo posso anche avere scritto delle stron**te (non lo escludo).