Mentre torno a casa ascolto KCRW. Spontaneamente, rifletto: esiste un sacco di bella musica al mondo e (non si sa come mai) in tivù e alle radio italiane vengono trasmesse sempre le solite tiritere.
Continua a leggere “Nomi e cognomi”Tag: paisley park
Isole
Finalmente su Netflix un film italiano che vale la pena guardare. Si chiama L’incredibile storia dell’Isola delle Rose. Racconta il percorso dell’isola artificiale costruita alla fine degli anni 60 al largo delle coste di Rimini. L’ideatore è un ingegnere bolognese, Giorgio Rosa, frustrato dall’impossibilità di vivere in una società più aperta alle sue innovazioni strampalate, ma funzionanti e che alla fine decide di costruire un suo stato. Una nazione vera e propria su una piattaforma al di fuori delle acque territoriali italiane con francobolli, valuta e passaporti. La fama dell’isola si allarga presto e diventa un luogo di incontro, di svago e contro-cultura per i giovani dell’epoca. La storia coinvolge, perché ci si immedesima nella sua battaglia idealista contro lo status quo, rappresentato da uno stato cattocomunista che cerca in tutti i modi di evitare un pericoloso precedente (nel film la parte più godibile è la narrazione politica, con gli scambi tra l’allora primo ministro Giovanni Leone e il suo ministro dell’interno Franco Restivo).
Per caso, considerando anche a chi è dedicato questo sito, la storia dell’Isola delle Rose ricorda lateralmente la storia del parco cachemire (Paisley Park 😂)? Paisley Park fu l’Isola delle Rose di Prince. Gli studi di Chanhassen sono stati la nazione autonoma dove governava (o imperava) Prince. La sua moneta erano le canzoni. Il passaporto erano i suoi concerti. Chi era il grande nemico di Prince, che nel film dell’Isola delle Rose è lo stato italiano? Forse gli stereotipi. Le categorie musicali e sociali. La disco e il rock. Per Prince non esistevano confini, non c’erano acque territoriali. Come gli uccellini che migrano sopra le nostre teste, impavidi dei confini, della Brexit e guidati solo dall’istinto. Lo stesso istinto, o gut (la pancia degli inglesi), che tracciava la strada della musica di Prince. Che gli intimava di rimanere chiuso a Paisley Park, senza contatti con l’esterno.
All’inizio della storia di Paisley Park, lo dimostrano le perle che stanno uscendo (per fortuna) dal Vault, il mondo di Prince era in battaglia contro il mainstream, rimanendo nel mainstream. Diventando il mainstream. Anche Prince incontrò il successo, riuscendo a rimanerne di fuori. Era la musica il suo strumento principale. Oggi i musicisti non fanno concerti perché mettono in piazza tutta la loro vita con i social. Prince sapeva o voleva misurare le parole, buttando lì delle fandonie per interessare il pubblico tipo quella che era di origine italiana. O la sua preferita, cioè che ogni tournée era la sua ultima tournée.
Adoravo la sua capacità di isolarsi a Paisley Park e di chiudere i rapporti con gli estranei, ampliando peraltro a dismisura la definizione di estraneo. Il suo solo obiettivo era produrre canzoni. Esplorare mondi musicali e implorare le donne nelle sue canzoni. Chissà, forse anch’io mi sono fatto un’immagine ideale di Prince, costruita su quello che so, che non è detto che sia vicino alla verità. Ma queste sono le regole del gioco dove è necessario avere il pathos della distanza. Non ti dovevi e non potevi avvicinarti troppo a Prince. E questo valeva – ovviamente – per i fan e anche per i cosiddetti esperti giornalisti.
Prince fu attratto dai social. Aveva un account di twitter dove scriveva post che poi cancellava. Un account su Instagram, dove Prince poteva mostrare la sua passione per la fotografia, che presto venne ribattezzato Princegram. Qualche sprazzo di streaming in diretta e un account su Facebook dedicato a lui con le ragazze, le 3rdeyegirl.
Prince non voleva raccontare la quotidianità come fanno i cantanti di oggi. Nessuna Emily che gli gestisse gli account dei social, Prince aveva rivisto alla sua maniera i social, per non cadere nella trappola dell’uniformità (e della falsa intimità). I cantanti dei giorni nostri usano i social per farsi e fare pubblicità. Lo fanno in maniera esplicita. Oramai, è un vizio comune. Su linkedin trovi decine di persone che intendono dare una mano agli altri, manco fossimo tutti la Croce Rossa, con annunci tipo: aiuto le persone e le aziende a crescere. Sono forme astute per vendere un servizio senza sembrare dei commerciali. Non so voi, ma io in giro vedo solo persone che, giocando sul cellulare alle gemme, cercano di tirarmi sotto mentre attraverso la strada sulle strisce pedonali (mi è capitato veramente). Altroché aiutare. Un post ci può dare uno spunto. L’idea per un libro e per fare un lavoro, ma non sarà un social che ci aiuterà a studiare per quel lavoro o a trovare gli soft skills necessari per farci largo nella giungla degli open space. Ipotizzo, quindi, che l’uso dei social sia principalmente un’attività di marketing. Come se ognuno di noi sui social avesse, che so, un negozio di abbigliamento e volesse avvertirci quando fa i saldi. Con questo non dico che sia illegale, tutt’altro. Dico che certe cose dovremmo trovarle dentro di noi. C’è questo libro di Pietro Trabucchi intitolato Perseverare è umano, che intende diffondere le soluzioni trovate dagli sportivi a persone normali come me. Il problema è che è più semplice guardare una storia di Instagram, comprare un gratta e vinci e sperare nella fortuna per fare il salto in avanti. Tutte cose che faccio io. Ma George Bernard Shaw diceva La libertà significa responsabilità. Significa anche impegno e resistenza. Se potessi tornare da Simone di 30 anni fa gli direi di tenere duro e continuare a fare musica, di non ascoltare gli altri, non cedere alle sirene di un lavoro qualunque da lunedì a venerdì, con le ferie pagate. Oramai è andata così, ma mi rimane questo ultimo tratto di strada da percorrere (insieme a voi, se vi va).
La musica bellissima (di Prince) che ci accompagna e ci ha guidato fino ad oggi ce la siamo andati a cercare. Non era nascosta tre le storie di Instagram. Era tra le fresche frasche dei nostri inverni solitari. Avevo nel cuore e nella mente il funk. Non so perché, ma so che ho sempre amato il ritmo funk. E allora come fu che mi avvicinai a Prince? La curiosità di trovare qualcosa di nuovo, girando tra le radio e le televisioni di allora. Non conoscevo la sua storia, che non poco mi stupì quando lessi la biografia A Pop Life. Poi un giorno ebbi la conferma da mio fratello che, sentendo due cose della colonna sonora di Batman e sfinito dalla mia passione per i Pooh, mi parlò bene di Prince. Con Graffiti Bridge stavo girando sulla vecchia Cassanese quando un Dj alla radio disse: se vi piace il funk dovreste comprare l’ultimo album di Prince.
Ed eccoci qua.
“Lo so”
I know there’s a heaven
I know there’s a hell
L’avevano annunciata da qualche tempo e domenica sera, finalmente, c’è stata. La diretta Facebook da Minneapolis di Giordano V che ci ha scarrozzato tra il cielo plumbeo quasi canadese, gli aceri rossi e il simbolo viola che sa tanto di Giò Pomodoro.
Giordano vive dal 2013 poco lontano da Paisley Park dove ha passato milioni di notti. Già nel 1991 (quando io ancora mi facevo la pupù addosso) lui era là, con un misto di pazzia e coraggio. C’è tornato per viverci alla fine degli anni 90, ed ora si gode la famiglia. Domenica sera, in collaborazione con l’Assessore al Minneapolis Sound Luisa G., Giordano e consorte hanno guidato un nutrito gruppo di fan italiani in una viaggio quasi onirico di 2 ore; abbiamo passeggiato tra le ville (o quello che ne rimane) di Prince, lo studio di registrazione, dove si sono infilati nello store ufficiale, condendo il tutto con racconti emozionanti, divertenti e inimmaginabili.
A Chanhassen c’erano 3 gradi, mentre nella periferia dell’est Milano le mie estremità inferiori stavano tiepide grazie ad una borsa dell’acqua calda, che questa volta sono riuscito a prepararmi senza l’ustione di secondo grado. Sbagliando s’impala, direbbe un Testimone di Geova. E mentre una cimice sorvolava la mia postazione da dove scrivo, Giordano ci faceva atterrare nella regione dei 10mila laghi, dei grandi spazi e dei quartieri nuovi. Come un novello Obi-Wan Kenobi, ci istruiva sulle modalità di accesso alla “terra santa” (come avevano soprannominato gli studi di Prince) e su quel mondo irreale che è stato il mondo di Prince. Con il pensiero siamo stati al Glam Slam, a cercare tra le bobine dei master e nello studio seduti al fianco di Prince. Là dove il cuore batte.
Come in una realtà quantistica, la verità della musica di Prince ci permette di dire che egli non è scomparso. E mai lo sarà. Come il gatto di Schrödinger, fino a quando gli eredi, la Warner, la Sony (o chiunque sarà seduto sulla poltrona dell’archivista capo) continueranno a sfornare inediti (più o meno validi) Prince sarà sempre contemporaneamente vivo e morto. Per chi (come la gran parte di noi) stava dall’altra parte dell’oceano, la sola occasione per avvicinarlo erano i concerti dal vivo. Per chi (come me) si faceva la pupù addosso, la musica e internet erano i punti di contatto con lui. E poiché “chi è steso o dorme o muore, oppure fa l’amore“, un giorno (sooner than U think) il mio sistema para-simpatico e pure-antipatico smetterà “sfinito” di operare. E dopo quel giorno i miei nipoti, le loro amiche e gli amanti potranno ascoltare nuovi arrangiamenti e assoli di Eric Leeds che scivoleranno fuori dal Vault. Proprio come G ha predetto. E io non ho paura.
Finite le due ore, io e la cimice ci siamo salutati, abbiamo scambiato due parole su Eriksen dietro le punte. Lei è convinta che sarebbe meglio giocare con il rombo. E ci siamo ritirati ognuno nel proprio letto. E grazie a quel mondo impronunciabile che è la chimica applicata alle sinapsi, ho ripensato a chi mi raccontava del dottore dei pazzi. Pazzi sono quelli che giudicano gli altri pazzi, mi sono detto. E gli specialisti che sono in grado di salvare la vita delle persone? Lo so, è un peccato che non abbiano saputo intercettare il grande dolore precedentemente conosciuto come solitudine. “Quello che è successo” dice Giordano “è successo perché lui era innamorato di noi!” Non sapeva vivere un’altra vita, penso io. Nessuno gliel’aveva insegnata.
Mi addormento. E sogno Prince. Siamo io e lui. Io ho poco più che 25 anni. Siamo sulla provinciale che porta a Lecco. Non so perché. Camminiamo sul ciglio della strada. Lui è nel periodo Parade. Giacca di pelle nera e capello corto. Io ho appena smesso di farmi la pupù addosso. Da lontano frequento cattive compagnie, ma che per me sono buone. Frequento da vicino buone compagnie, ma che alla fine si riveleranno cattive. Se in quel periodo avessi fatto del nero, sarei diventato un uomo prima dei 30 anni. Prince lo sa. Io e lui camminiamo in fila indiana e sono preoccupato per le auto che ci sfiorano. Non so bene cosa dirgli. Prince è serio, ma sorridente. Oppure sorride seriamente. Affianchiamo dei centri commerciali, dei benzinai, e pub irlandesi della brianza alcolica e non parliamo. Prince mi guida da qualche parte. Vorrei dirgli qualcosa, ma non so cosa. Ho paura. Poi mi viene in mente una cosa da dirgli…
Live from Minneapolis, the Paisley Park Digital Hall
Alla fine degli anni 90 avevo l’abbonamento alla sinfonica della scala che ascoltavo dalla seconda balconata. Sperimentale. Più di recente, per motivi di tempo, seguo e sono stato abbonato alla stagione dei Berliner Philarmoniker, o Berliner. L’orchestra sinfonica di Berlino. L’orchestra sinfonica è quella formazione orchestrale che può arrivare a includere tutti gli strumenti musicali. Si va da una formazione di 40 elementi a più di 100 elementi. Ascoltare 100 musicisti che suonano contemporaneamente è un’esperienza unica. Trascendentale. I Berliner li ascolto attraverso la loro Digital Concert Hall che trasmette in diretta su internet i concerti dell’orchestra.
Come funziona la Digital Concert Hall dei Berliner?
Per fare un prodotto di questo genere, però, bisogno fare molta attenzione ai dettagli: le qualità dell’audio e del video devono essere ai massimi (a Berlino usano l’ultra hd e il 4K per il video, mentre l’audio è nel formato AAC a 320 kb/sec). Puntualità negli orari, ospiti e scelta del programma di circa 40 concerti annuali deve essere curata senza sconti. L’archivio dei Berliner, oltretutto, contiene un mondo unico di 2.000 opere, oltre a film, interviste e speciali. Per poter ascoltare in diretta i concerti dei Berliner è necessario un televisore smart, quasi tutte le marche supportano l’app della Digital Concert Hall, oppure un qualsiasi prodotto android/apple; anche sul cellulare è possibile ascoltare la musica in diretta da Berlino.
Quanto costa l’abbonamento?
L’abbonamento annuale costa 149 euro, ma tutti gli anni c’è uno sconto del 10% se faccio l’iscrizione prima del 28 agosto, giorno dell’inaugurazione. Quindi vado a pagare, circa 134 euro. In più, fino al 31 dicembre posso regalare un abbonamento di 7 giorni a un amico (se vi interessa scrivetemi blog@trentunoventuno.com). E ogni anno, verso la fine di luglio mi arriva un lettera in italiano dove mi spiegano le offerte, le eventuali avvertenze (quest’anno il Corona Virus) e il libro (in inglese) con tutti i concerti, i protagonisti e il programma.
Cosa potrebbero fare ai Pasley Park?
Quando ho letto dell’immenso archivio dei Berliner, ho subito pensato al Vault di Prince. So che un giorno tutto l’archivio video di Prince sarà accessibile su internet, pagando un unico abbonamento. In quei giorni sarà possibile accedere anche alle interviste dei suoi collaboratori o musicisti, come gli interessanti incontri della PRN Alumin Foundation (prnalumni.org), o alle dirette della celebration di aprile/giugno. Le anteprime dei libri, e la scoperta delle stanze di Paisley Park. Interagendo.
Quanto potrebbe costare una Paisley Park Digital Hall?
Così, per gioco, ho provato a immaginare quanto potrebbero farcela pagare… ops. Quanto ci potrebbe costare un abbonamento annuale alle dirette di Paisley Park; ho provato a fare un calcolo per difetto, partendo dal numero di appassionati di Prince che ci sono su Spotify. Su Spotify Prince ha circa 4 milioni e mezzo di followers. Appassionati che hanno volontariamente cliccato su “segui” sotto l’immagine di Prince. Generalmente, il rapporto di conversione su internet è dell’1%, che porterebbe quindi a circa 45.000 abbonati. Se i Berliner, per un pubblico già abituato agli impegni dei concerti fanno pagare 149 euro, quelli Paisley Park Digital Hall potrebbero abbassare ai classici 99,99 euro annuali, portando a casa 4 milioni e mezzi di euro all’anno. Credo che con 4 milioni di euro si potrebbe organizzare una splendida stagione, coprendo anche le spese tecnologiche. Ma se partiamo da altre cifre come i 9 milioni di ascoltatori mensili. O, ancora, le 22 milioni di visualizzazioni su youtube, gli ipotetici abbonati salirebbero di molto.
Conclusioni
Prince ha un archivio immenso. Si chiama Vault. Disperdere il potenziale della musica e dell’opera di Prince sarebbe un peccato. Lo sappiamo bene: ci sono centinaia di concerti mai visti. Album inesplorati. Chissà cos’altro; interviste? Film? Documentari? Prince Estate fa bene a lavorare con chi è già del mestiere (Spotify per la distribuzione della musica, o con Netflix per il misterioso documentario sulla vita di Prince). Eppure penso che farebbero bene a mettere insieme qualcosa di loro. Di personale. Che porti avanti la passione di Prince per la musica. E qui sarebbe utile mettere insieme la Paisley Park Digital Hall (o Vault Digital Hall?). Magari chiedendo una mano a quelli di Internet Initiative Japan che distribuiscono lo streaming dei Berliner.
100 euro all’anno per avere accesso a eventi in diretta da Paisley Park io li spenderei. E voi?
Per ricevere questo articolo e altri su Prince, inserisci qui sotto la tua mail:
Live da Paisley Park
Mi era sfuggita questa diretta Facebook che si è tenuta all’interno di Paisley Park durante il lockdown, se non ricordo male era il primo maggio. Anche se la qualità è quella che è, si vede qualche angolo interessante. Si parte dall’atrio dove si trovano le colombe e dove Prince aveva registrato l’album acustico al piano con le colombe nel sottofondo. Le colombe sono 3, due giovani e giocherellone. Una è un po’ vecchiotta ed è sopravvissuta a Prince. Si tratta della femmina Divinity, che avrebbe una ventina di anni. Il maschio della coppia, cioè Majesty sarebbe morto nel 2017. Chi ci fa da guida è Mitch Maguire, che è Legacy Preservationist di Paisley Park, che mi sento di tradurre in Conservatore dell’eredità. Mitch viene affiancato di volta in volta dalle sue collaboratrici. La prima è Rebecca, che introduce, appunto, le colombe. Muovendosi per i corridoi del secondo piano (ai quali non avevamo avuto accesso nelle nostre visite del 2017) si vede sulla moquette il testo di una canzone di Prince:
ask
yourself
your
destination
what
the source
of your
inspiration
be !!!

Dopo il corridoio, Mitch ci porta a incontrare Michela che segue le collezioni di Prince. Si entra in una sala che, se ho capito bene, una volta era la stanza dei giochi, e che ora ospita la collezione di oggetti 2d e 3d. Mitch ci tiene a specificare che non si tratta del Vault. Si tratta del luogo dove è archiviato gran parte del guardaroba di Prince. A quanto pare, gli oggetti che sono stati ritrovati e che vengono conservati sono tantissimi e c’è bisogno di molte stanze per archiviarli correttamente. Per quanto Paisley Park sia grande, così dice Mitch, le stanze non sarebbero sufficienti. Le prime scarpe che emergono dalla scatola sono quelle che Prince indossò alla consegna degli Oscar del 1985. Sono state prodotte da una società che per Prince arrivava a fare anche 30 o 40 paio di scarpe al mese.

Il secondo paio di scarpe, invece, hanno una caratteristica diversa: hanno la suola rinforzata per i concerti e per le esibizioni. Se ho capito bene, anche la parte interna e la parte posteriore erano state rinforzate apposta per permettere a Prince di fare qualsiasi cosa avesse in mente sul palco. Mitch dice: “queste scarpe gli davano sicurezza, non che lui ne avesse bisogno…” Parlando di scarpe, i due anticipano una prossima mostra dedicata proprio alle scarpe di Prince. Pare che verranno mostrate 300 o 400 paio di scarpe di Prince (che rappresentano una parte della sua collezione), raccontando la storia che ogni paio può raccontare anche grazie a testimonianze e filmati. E con questa mostra, dice ancora Mitch, sarà possibile spiegare come Prince spingesse sull’acceleratore per quella che lui chiama l’accettazione sociale. Credo, la possibilità che oggetti tipicamente femminili vengano indossati dagli uomini senza perdere la propria mascolinità.
Mitch alla fine racconta di come siano riusciti a ritrovare il gun-mike, il microfono a forma di arma che Prince usava all’inizio degli anni 90, che per Mitch era un periodo in cui Prince non aveva l’esigenza di essere commerciale, ma dove era più autentico. Questo microfono, dice Mitch, ci aspettavamo fosse conservato accuratamente, mentre in realtà Prince lo teneva (o l’aveva dimenticato) dentro a una road-case, cioè valigia professionale, rinforzata agli angoli e utilizzata quando si fanno i tour. La valigia aveva un’etichetta con scritto gun-mike, dice Mitch, ma il microfono era impacchettato in mezzo a dei tovaglioli e in compagnia di un po ‘ di candele. Quindi non era accuratamente conservato, ma era piuttosto profumato.
E io mi immagino Kirk…
Tutti a cantare per Paisley Park!
Sto apprezzando la nuova iniziativa di Paisley Park chiamata #paisleyparkchallenge. L’hanno spiegata in questo post su Facebook.
Tutti hanno una canzone di Prince che preferiscono. Ora vogliamo sentire le vostre. Davvero. Vi vogliamo sentire cantare. Anche in playback, suonando uno strumento o urlando a squarciagola con i vostri bambini o i cagnolini e i gattini. Dateci dentro.
Queste sono le regole: fino a domenica postate il video su Facebook, inserite #PaisleyParkChallenge e taggate @paisleypark. Dopodiché noialtri di Paisley Park pubblicheremo le nostre preferite.
E così, con curiosità ho girato Facebook cercando l’hashtag #paisleyparkchallenge. Ho ascoltato un sacco di ottimi musicisti e cantanti affrontare senza paura i brani di Prince. Anche voi potete ascoltarli cliccando qui.
Non tutti i partecipanti hanno aggiunto il tag a @paisleypark (e questo forse li squalificherà dalla gara), voi non dimenticatelo!
Anche se la sfida non è ancora chiusa, ho il mio tabellino dei migliori (manco fossi Rino Tommasi). Prima di elencarli, un paio di regole che mi sono dato:
- ho scartato quelli che hanno suonato/cantato su basi midi;
- ho scartato quelli che hanno copiato/rifatto l’originale;
- ho scartato quelli che non mi piacciono.
Come ultima regola, ho cercato i brani di Prince meno conosciuti. Quelli che solo un vero FAN (o FAM?) di Prince canterebbe. Per fare un esempio, ho scartato i chitarristi che hanno rifatto l’assolo finale di Let’s Go Crazy, ma quell’assolo io l’ho ascoltato (e l’ascolto) fatto dalle mani di Prince. Copiare Prince nota per nota è un esercizio utile, per carità, ma solo per la propria crescita musicale.
E quindi, con in mente queste piccole regole il primo video che propongo è quello di Hanna di Take me to the Paisley che canta The Morning Papers mentre carica la lavastoviglie.
Poi c’è Laurent. Sulla ritmica da piano bar riprende Strollin‘ da Diamonds And Pearls e ci costruisce sopra una bella improvvisazione. Peccato duri poco meno di un minuto. Guardate come il piano ondeggia sotto le sue mani. Ha tagliato il video perché la tastiera è andata per terra?
Ho scelto Lisa che ha rifatto Love 2 the 9’s accompagnandosi solo con lo snap delle dita. Mi è piaciuto il mondo in cui si fa prendere dalla canzone, che la fa anche un po’ sbarellare alla fine. Emozionante. E bellissimo il contrabbasso nell’angolo della stanza.
Per ultimo, Mark Penta che trasforma I Wish U Heaven in una canzone da cantare in riva al mare, davanti ad una falò di Battistiana memoria (ma senza assembramenti!).
Queste sono (per adesso) le mie scelte. Vedremo quali saranno quelle di Paisley Park.
Essere fan di Prince ai tempi del #coronavirus

Amiche e amici, sono tempi sofferti, ironici e pesanti. Un grande abbraccio alle persone che stanno soffrendo. Questo virus subdolo sta colpendo molti, nelle zone dove più abbiamo amici. State a casa e invitate gli altri a stare a casa.
Nella strana relazione che abbiamo sul blog e Facebook, non scrivo da tanto tempo. Non mi piace festeggiare i vari compleanni (10 anni fa usciva quel disco solo in portoghese, 20 anni fa lui si mangiava la pasta Alfredo e 30 anni fa Wendy e Lisa uscivano dal gruppo di whatsapp di Prince). Non sta nel mio carattere. Preferisco immaginarlo ancora qui con me. Prince, per me, è immerso nella quotidianità. Non mi ha mai fatto scappare dalla realtà, ma la aumentava. La accentuava, non la attenuava. La faceva emergere. Non la nascondeva.
Cosa avrebbe detto e fatto Prince oggi? Avrebbe fatto una diretta su Facebook o si sarebbe fatto riprendere in fila all’Esselunga? Avrebbe dato un’intervista citando Fazio e invitando tutti ad abbracciarsi? O avrebbe praticato la clausura in buona compagnia?
Questa società mi ha cambiato. Farò in maniera che il cambiamento vada per il meglio; verso un uso sapiente dei minuti, che siano decisi da un virus, da un’auto che non rispetta il rosso o dagli hamburger di Joe. Chiudendo in bellezza, con una bella festa. Perché quel giorno farò festa, come nel 1999.
La mostra fotografica “Dopo la pioggia” è stata rimandata. Abbiamo avuto delle nuove date (provvisorie) e appena le cose si faranno più chiare ve le faremo sapere. Purtroppo, tutti i giorni abbiamo a che fare con questa realtà confusa e preoccupante. Per favore, rimanete a casa. Non è una questione di mostra fotografica, è una questione di salute.
Mi sono ritrovato ad ascoltare le puntate del podcast Italian Jam dedicate a Prince. Se avete voglia di dedicare 5 minuti del vostro tempo casalingo, le trovate qui.
Prima di chiudere questo post, mando un abbraccio a Matteo e Luisa. Se siamo ancora qui è per me merito vostro.