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3 chains o' gold

L’altra sera ottima visione della videocassetta 3 Chains o’ Gold. Uscita in occasione della pubblicazione del Love Symbol, avrebbe dovuto spiegare per immagini la storia tra Prince e Mayte che il disco già raccontava.

Se da una parte si segnala come un ottimo alimento per fan, dall’altra parte sembra soffrire della scarsa partecipazione, organizzazione e concentrazione dell’imprenditore Prince. Alcuni video, nulla viene suonato dal vivo, sono girati nelle stesse location, quella dove sono al bar a bere un caffè viene utilizzata per diversi brani. I brani sono spesso tagliati ed accorciati. Alcuni video sono più frutto della confusione che della vena artistica. E, malgrado tutto, il video rimane in piedi fino a Damn U: fino a quel punto tutte le canzoni sono (più o meno bene) rappresentate. Dopo Damn U, si salta a 7, evitando poi bruscamente 3 chains o’ gold (ottimo esempio di rock sinfonico, in stile Queen, ma anche sotto l’ombrello di Let’s go crazy). E il funky di the Sacrifice Of Victor. E stop, per concludere con una versione strumentale di 3 chains o’ gold, ma che non ha nulla a che fare con l’originale, messa solo per giustificarne la presenza sui titoli della copertina.

E pensare che Prince e la Warner investono pesantemente: Mayte va di persona in Egitto per girare lunghi tratti del video.

Insomma, se fino a Lovesexy, tutto ciò che Prince toccava diventava oro, da 3 chains o’ gold è evidente che Prince è diventato uno schiavo della sua immagine riflessa nei video. Ci vorrà tempo e soprattutto il digiuno musicale di The Rainbow Children per far capire a Prince quanto egli sia dotato come musicista in senso stretto e meno come artista in senso lato.

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