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La Verità di Jill Jones su Prince e la sua Privacy

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(sottotitolo: la corazzata Potëmkin fa discutere ancora)

In questo post Jill Jones esprime il disappunto per lo stop del parentame (acquisito) di Prince al documentario di Netflix di 9 ore. Ma se l’intento è nobile, pare che nel documentario lei si sia messa a nudo raccontando episodi non edificanti con Prince, prendersela con i fan curiosi è una tattica che lascia il tempo che trova.

Prince era un uomo che viveva sotto il peso delle aspettative, sue e del mondo che lo adorava. Si è costruito una personalità così grande che è diventata una prigione, una gabbia dorata da cui non è mai riuscito a uscire del tutto.

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La presunta lotta di Prince contro la tossicodipendenza era profondamente intrecciata con la sua incessante ricerca della perfezione, uno standard impossibile che imponeva a se stesso per soddisfare una base di fan che bramava la sua mistica, la sua eccentricità e la sua arte in continua evoluzione. In fondo, era un consumato compiacente, intrappolato nell’aspettativa di rimanere un enigma, sempre sorprendente, sempre irraggiungibile. La tragedia sta nel fatto che molti si rifiutano di riconoscere la verità su chi fosse veramente. 

Lui lo capiva meglio di chiunque altro.

Sapeva che rivelare il suo vero io, spogliato della personalità accuratamente costruita, avrebbe portato al rifiuto. E, in un certo senso, aveva ragione. Le recenti scelte di Netflix e della sua proprietà non fanno che rafforzare questa verità.

Il mondo non è disposto ad accettare Prince come uomo, ma solo come mito. Senza l’elaborata messa in scena, senza il velo di mistero, la sua cruda umanità è considerata insufficiente. Le sue lotte, il suo viaggio, i suoi sacrifici – tutti gli elementi che lo hanno plasmato – rimarranno oscurati.

Al contrario, il mondo riceverà molto probabilmente una versione asettica e raffinata di “Prince”. Un’illusione accuratamente curata che cancella la profondità della sua realtà.

Lo ripeto ancora una volta, quindi fatemi capire: i documentari sulla vita privata di qualcuno dovrebbero rimanere privati?

Un’idea interessante. Ma vediamo di capire meglio.

Tutti voi volete sapere i dettagli più banali, intimi e sezionabili della vita di Prince. Di chi parlava ogni canzone, cosa significava ogni testo, dove si trovava quando l’ha scritto, cosa l’ha ispirato. Volete sapere quali erano i suoi cibi preferiti, che odore aveva. Come arredava la sua casa, chi amava, con chi litigava, cosa sussurrava in un momento di vulnerabilità.

Discutete persino su quale tonalità di viola preferisse. E non pensate che questo sia ficcare il naso nella sua vita privata?

Siamo realisti: se la privacy fosse davvero sacra per vi, non sareste nei forum ad analizzare ogni sua mossa.

Non discutereste sui bootleg o non fareste incetta di musica inedita che non ha mai voluto far ascoltare al mondo. Non chiederesti alle persone che lo conoscevano come era “veramente” a porte chiuse.

L’unico motivo per cui state tirando le somme è che la verità che viene raccontata vi mette a disagio.

Se pensate che un documentario debba rimanere privato. Allora forse – ma solo forse – dovreste smettere di fare domande invasive sulle sue canzoni. sulle sue relazioni e sulle sue scelte personali.

Forse dovreste smettere di chiedere l’accesso al suo caveau, ai suoi diari, ai suoi lavori incompiuti.

Forse dovreste semplicemente sedervi in una stanza da soli. Suonare la sua musica e smettere di fingere che la privacy sia un vostro problema.

Perché siamo onesti: non lo è mai stata.

Non ho elementi per confutare le parole di Jill Jones, non ho mai pensato che Prince fosse un perfezionista come dice lei, anzi, ma sono molti gli artisti che hanno affrontato pressioni simili a quelle di Prince a causa delle aspettative pubbliche e dei media.

Ad esempio, Lady Gaga ha parlato apertamente delle sue difficoltà emotive e della sua lotta con l’ansia e la depressione. Anche Noah Schnapp di “Stranger Things” ha ricordato le difficoltà con l’ansia, mostrando come anche i giovani artisti possano essere influenzati dalle aspettative e dai giudizi del pubblico.

Pare che l’essere sotto pressione faccia parte della definizione di essere un artista. Dimostrare a sé e agli altri il valore della propria produzione deve essere la quotidianità. In fin dei conti, un artista deve creare un immaginario, che deve ispirare gli immaginari degli altri.

Una missione che per molti è insormontabile; tanti – come me – hanno preferito una banale vita da impiegati, alla opportunità di far sognare qualcun altro con le proprie parole (scritte/cantate/sussurrate ecc). Il dolore del rendere concreto qualcosa che ti gira per la testa fa male a molti e gli artisti lo conoscono bene.

L’autodifesa degli artisti è – appunto – nascondere il vero io. Mettersi la maschera dell’intrattenitore e lasciare che le luci, l’amplificazione, l’attesa e il conto alla rovescia faccia il resto.

Rendergli giustizia con un documentario dove Prince è violento, egocentrico, maleducato e misogino (e chissà cos’altro) è una pia illusione.

Un pensiero riguardo “La Verità di Jill Jones su Prince e la sua Privacy

  1. … una corsa a chi la spara più grossa. Ognuno vede quel che vuole nella persona che per una parte della vita ha incrociato la tua. Nel caso di Prince la normalità deve essere inaccettabile. Per me Prince era quello che quando voleva un momento di relax, prendeva la bici e girava attorno Paysley Park, uno che se non voleva farti sapere qualcosa, la teneva per sé, ma che dell’aspettativa dei fan se ne sbatteva. Ha sempre fatto quello che voleva anche a costo di farli incazzare i suoi fan!

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