Traduzione di Giovanna A. dell’intervista di Chris Williams a Chris Moon. Era stata pubblicata su WaxPoetics. La traduzione è stata pubblicata su autorizzazione dell’autore.
Quando hai incontrato Prince la prima volta?
Chris Moon: Negli anni ’70 avevo uno studio di registrazione a sud di Minneapolis. Si chiamava Moon Sound Studios. Sarebbe giusto dire che in città era l’unico studio che stava davvero facendo soprattutto Black music e R&B. Il motivo per il quale stavo facendo soprattutto R&B era perché era il tipo di musica che preferivo. Sono un britannico proveniente dall’Inghilterra, ma ero sempre stato attirato dalla gioia che portavano il R&B e la musica con radici Black rispetto a ogni altra cosa. Regalavo il 60% del mio tempo ai gruppi musicali locali. Così se ne trovavo alcuni che mi piacevano, li portavo nello studio e li registravo, producevo ed elaboravo tutto.
Per gli artisti non c’era alcun costo. Lo facevo perché una delle ragioni per le quali avevo uno studio di registrazione era che amavo la musica. La maggior parte della gente avvia gli studi di registrazione perché sta cercando di far soldi e ama la musica. [risate] A Minneapolis ero abbastanza conosciuto. Se eri un artista Black era lo studio dove andare. C’erano un paio di altri studi ma stavano facendo principalmente rock e country e cose del genere. Ogni tanto una band chiamata Champagne si prenotava nel mio studio per assemblare un nastro. In realtà era un lavoro a pagamento. Amministrava il gruppo la madre di uno dei membri della band perché erano tutti ragazzini di quindici, sedici e diciassette anni. Lei a volte prenotava con me per fare un nastro. Sicché registravano nello studio. Ogni giorno all’ora di pranzo la band faceva una pausa e andava da Baskin-Robbins dall’altra parte della strada a prendere un cono gelato, e io mangiavo il mio pranzo seduto nella sala controllo. Un giorno mentre ero seduto là mangiando il mio pranzo guardai verso lo studio e uno degli artisti era rimasto lì. Quello che era rimasto era Prince. Iniziò a suonare il pianoforte. Ho continuato a mangiare il mio panino, e qualche tempo dopo ho alzato gli occhi e lui era in fondo a suonare la chitarra. Alzai gli occhi un altro po’ di tempo dopo e lui era laggiù a suonare la batteria. Alzai gli occhi ancora e lui era dall’altra parte suonando il basso. [risate] E dissi, ” Interessante. Sembra che sappia suonare tutti gli strumenti.” Infine mi son reso conto che fino ad allora dedicavo il mio tempo ad artisti e registravo altri musicisti. Avevo bisogno di registrare qualcosa del mio materiale. Ho scritto canzoni da quando avevo tredici anni o giù di lì, così avevo molte canzoni da mettere insieme. Volevo produrre la mia musica ma capivo che lavorare con le band era uno degli incubi della vita. Una delle…cose di cui ero diventato profondamente consapevole, con uno studio di registrazione, era l’incredibile fatica per ottenere l’impegno della band a presentarsi tutti nello stesso posto nello stesso momento e a farlo in maniera regolare.
Quindi ero là seduto pensando, “Bene, voglio registrare un po’ del mio materiale, e non ho davvero intenzione di lavorare con una band, ma che altre possibilità ho?” E poi ho visto Prince che andava avanti e indietro per lo studio suonando svariati strumenti e ho pensato, “Potrebbe essere la soluzione al mio problema. Ora tutto ciò che devo fare è far si che venga un ragazzo. Se suonasse tutti gli strumenti, sarebbe fantastico.” Così quel giorno alla fine della sessione andai dritto da lui. Lui ed io non ci eravamo scambiati più che un paio di frasi. Era incredibilmente timido. Intendo, non parlava proprio. Andai da lui e dissi, “Guarda, sto cercando di produrre del materiale originale. Vorrei farti diventare un artista. Creerò un nastro su di te. Farò un pacchetto e produrrò canzoni per te e ti insegnerò come registrare e produrre in studio e vedrò se posso farti diventare famoso. Cosa ne pensi?” Mi guardò e disse, “Sì!” Mi frugai in tasca e gli consegnai le chiave del mio studio di registrazione, che era tutto ciò che avevo nella vita visti i miei diciannove anni. Gli diedi le chiavi e mi guardò, e dissi a me stesso, “Hai appena dato le chiavi a questo ragazzino del nord di Minneapolis che non conosci neanche.” Gli dissi, “Vediamoci qui domani dopo la scuola. Prendi l’autobus dopo la scuola. Starò lavorando. Ti lascerò due canzoni sul pianoforte. Prendi quella che preferisci e sviluppa la musica. Quando tornerò ti insegnerò come registrarla. Metteremo in piedi qualche canzone.” E’ così che iniziò.
Quando iniziasti a lavorare con lui come furono queste prime sedute di registrazione?
Moon: Certo, questo potrebbe essere abbastanza interessante perché è sorprendente come alcune persone reagiscono quando vengono a conoscenza di come Prince ha iniziato perché ho affemato che Prince è nato nel mio studio. Non ho sostenuto che l’ho creato io -ma ho detto che è nato nello studio. E dopo che avrai terminato questa intervista, penso che sarai d’accordo. Così venne da me -un timido, piccolo e silenzioso ragazzo di un metro e sessanta con una pettinatura afro dalla parte nord della città- e rimase nello studio e scelse uno dei due tipi di testi che avevo lasciato sul piano. Ci lavorò su e poi mi presentai. A quel tempo stavo lavorando presso un’agenzia pubblicitaria, quindi stavo imparando riguardo la promozione, la commercializzazione, le vendite e tutte queste cose. Arrivai allo studio e ci sedemmo, e lui come al solito suonò un po’ di musica al pianoforte o chitarra. Poi iniziammo a cantare insieme i testi sinché trovammo la melodia. E quindi cominciammo a registrarla. Non era mai stato in uno studio di registrazione prima di allora e fu una cosa completamente nuova per lui. Iniziai insegnandogli come registrare le cose, come funzionavano le tracce, e come sovrapporle. Ce la siamo cavata con la costruzione della nostra prima canzone. Abbiamo trascorso un bel po’ di tempo lavorandoci su. Poi trascorremmo un bel po’ di tempo ad abituarlo allo studio e alla registrazione della musica di questa prima canzone. L’iter durò forse un mese, e giunse il momento di definire il cantato sulla nostra prima canzone.
Lui era in studio e io ero nella sala controllo. Indossava le cuffie. Iniziai a far andare la musica. Proveniva dalle cuffie. Vedevo che mentre la canzone stava andando le sue labbra si muovevano e guardai verso i miei misuratori e non si stavano muovendo, e non riuscivo a sentire niente. Ho pensato, “Va bene, ho un pessimo microfono o un pessimo cavo.” Così andai nello studio, cambiai il microfono, tornai indietro, ancora niente. Va bene, senza dubbio era il cavo. Tornai indietro di nuovo e ancora nulla. Nel giro di dieci minuti o giù di lì verificai tutta l’attrezzatura perché lo vedevo cantare ma non rilevavo niente. Allora mi venne in mente, andai alla porta mentre il brano stava suonando e lo vidi cantare e infilai la mia testa nello studio e non riuscii a sentire niente. Andai da lui e lo fermai. Dissi, “Continua a cantare. Continua a cantare.” E capii che stava cantando così piano che riuscivo a malapena a sentirlo.
Dissi, “Prince, Prince, Prince, non stai cantando abbastanza forte. Pensavo di avere un problema tecnico. Il problema è che ho bisogno di un po’ di volume da parte tua, amico. Non riesco neanche a sentirti. Il microfono non riesce a percepirti.” Avevo microfoni sensibili. Allora iniziammo questo processo per ottenere un suo canto a voce più alta. Non riusciva. Non so se fosse timidezza, timore o l’essere spaventato o cosa. Iniziai a guardare al suo profilo psicologico per capire meglio. Avevo un ragazzo nero di un metro e sessanta che aveva sempre desiderato essere un giocatore di basket. Quel sogno non si era avverato. Semplicemente non era accaduto. Avevo un tizio nero dai capelli afro che si chiamava Prince e che tutti a scuola chiamavano Principessa. Lo picchiavano perché era basso ed esile. Ora tirava fuori un canto con la voce di ragazza in falsetto. Quando iniziai a inquadrare tutto ciò iniziai a capire che il ragazzo stava affrontano problematiche di intimorimento esistenziale. Pensai, “Merda, qui ho un problema. Ho investito tanto tempo su un artista che ho scelto con le mie mani.” Sapevo che poteva suonare tutti gli strumenti, ma non gli avevo mai fatto davvero un’audizione vocale. [risate] Pensavo che il mio piano perfetto avesse risolto tutti i miei problemi, evitando di cercare una band e cercando un artista valido che suonasse tutti gli strumenti. Pensavo che il mio piano perfetto fosse appena andato a gambe all’aria, perché avevo dimenticato di vedere se poteva davvero cantare le parole ed era stata la ragione per cui in primo luogo stavo facendo questo. [risate] Mi impegnai a cercare una soluzione al problema. Se questa fosse stata un’audizione e se nella realtà gli avessi fatto un’audizione non l’avrebbe passata. Ma siccome ero già in un percorso con lui cercai un modo per farlo funzionare. Tornammo avanti e indietro, e avanti e indietro per ore nello studio e niente che io potessi fare o dire lo aiutava a cantare un po’ più forte. Semplicemente non accadeva. Più andavamo avanti più peggiorava, nei termini del suo sentirsi in colpa, intimorito e frustrato e timido. Le cose non stavano andando bene. Pensavo, “Qui mi serve un piccolo miracolo; perché in caso contrario le cose finiscono qui e ora e questa è tutta la strada di ritorno al punto di partenza. Ho un artista che penso possa funzionare. Stiamo sviluppando musica e facendo cose insieme e mi piace come sta andando, ma l’unico problema è che non riesco a convincerlo a cantare.
Così ci prendemmo una pausa e mi spremetti il cervello: “Cosa posso fare? Cosa posso fare? Cosa posso fare?” E alla fine mi è venuta l’idea di mettere un letto al centro dello studio. Io dormivo di sotto nel seminterrato del mio studio di registrazione. Andai giù e presi le mie coperte e i miei cuscini. Andai di sopra e preparai un letto nel centro dello studio di registrazione. Dissi, “Vieni qua. Stenditi. Ti coprirò con una coperta. Voglio che metti la testa sul cuscino. Voglio che ti rilassi davvero.” Disse, “Ok, perché stai facendo questa cosa? Perché la fai?” Risposi, “Non preoccupartene. Fallo soltanto.” L’ho steso e l’ho letteralmente messo su questo letto fatto da me, dentro lo studio di registrazione. Poi spensi tutte le luci dello studio. Presi il mio microfono più sensibile e lo misi il più vicino possibile alla sua bocca. Dissi, “Guarda, sei nascosto. Sei al sicuro. Sei al caldo. Le luci sono spente. Voglio solo che chiudi gli occhi. Rilassati. Voglio che immagini che sei nella tua stanza da solo di notte in casa e stai cantando una canzone ad alta voce e che non c’è nessuno e nessuno ti può sentire.” Nel giro di qualche tempo, alla fine, persuasi la sua voce a uscire da lui.
Quante ore ci sono volute?
Moon: Occorse tutto il giorno. Non ho fatto Prince. Non l’ho creato. Ma quel giorno, per la prima volta, penso che scoprì la sua voce. Era sempre stata là. Per cantare devi svelarti. Devi lasciare che vedano la tua anima. Il suo cantare era con la voce in falsetto. Non è una cosa da uomini se stai sentendo che per cominciare non sei molto virile e sei un adolescente. Aveva sedici anni. In quella sessione scoprimmo insieme la sua voce. All’inizio era piuttosto tremolante, ma dopo un po’ di tempo imparò che cantare nello stile in cui voleva cantare andava bene. Venne supportato e incoraggiato, quindi gli insegnai le sovraincisioni. Sai cos’è la sovraincisione? E’ quando canti con te stesso. Poi ottieni tre o quattro o sino a dieci tracce della tua voce. Quando le sentì gli piacquero davvero tanto. Perché se sovraincidi qualsiasi voce abbastanza volte, risulta sempre fantastico. Lo sovraincisi abbastanza presto proprio per provare a costruire la fiducia nel suono della sua voce. Aveva davvero, davvero, un bel groove. Così questa fu una della più grandi cose che gli accaddero nello studio molto, molto presto. Ovviamente mi sedevo a insegnargli come registrare un paio di tracce, poi lo portavo nello studio e gli mostravo come mixarle insieme, e come poteva usare l’equalizzazione e il riverbero, il bilanciamento e il livello. E che tutto questo aveva un effetto sul suono. Nel corso dell’anno gli insegnai come registrare e produrre, un’opportunità che certamente non aveva avuto prima di allora. Chi ti dà, per niente in cambio, un tempo illimitato in uno studio di registrazione e si siede là e ti spiega come fare tutto? Ebbe un corso intensivo uno a uno in registrazione, produzione, mixaggio, ingegnerizzazione del suono, che divennero il suo tratto distintivo. Perché una volta che comprese che poteva gestire la sua arte attraverso il controllo del processo sul registrare, produrre, ingegnerizzare e mixare , non tornò mai indietro. Non ne uscì mai e non cercò mai altre persone per produrlo. Venne introdotto da subito e questa fu la sua scelta definitiva. Poi cosa fece? Costruì una casa che era uno studio di registrazione. Visse in uno studio di registrazione e trascorse la sua intera esistenza registrando.
Questa fu la seconda cosa che per lui fu un cambiamento professionale. La terza cosa che accadde fu -io lavoravo in un’agenzia pubblicitaria ed era la più importante agenzia pubblicitaria di Minneapolis. In quel periodo nello Stato ce n’erano dieci o dodici. Era un’agenzia piuttosto grande chiamata Campbell Mithun, e faceva un mucchio di lavoro per i maggiori clienti nazionali. Insegnavano loro come usare il colore, le parole, nomi riconoscibili e creare un’identità. Stavo attingendo a tutto ciò per applicarlo alle basi dell’artista Prince.
La prima cosa che accadde, dopo aver fatto alcune canzoni con lui, fu che un giorno rientrai dal lavoro, e dissi, “Ok, ho scritto il tuo primo brano di successo.” Chiese, “Come fai a sapere che sarà un successo?” Risposi, “Lo sai come lo so, è perché questa canzone è stata scritta e progettata per promuoverti come artista. La maggioranza delle persone escono e scrivono canzoni che sentono e pensano soltanto. Questa è una canzone scritta e costruita per renderti un artista, adottando i fondamentali concetti di marketing.” Ma a sedici anni non conosceva nulla riguardo le nozioni di marketing, identità, e tutto il resto.
Dissi, “Lascia che ti spieghi cosa ho dovuto fare per scrivere questa canzone. Ciò che ho dovuto fare è stato pensare come qualcuno che debba commercializzare nell’industria musicale un ragazzo della zona nord della città, pettinato afro e alto un metro e sessantadue e lo faccia diventare immenso.” Gli si rizzarono le orecchie dicendo, “Sì, come?” Risposi, “Bene, l’ho visto. Riguarda tutto le caratteristiche demografiche e l’individuazione del pubblico a cui ti riferisci. Dopo aver fatto alcune ricerche, i destinatari della musica sono persone che comprano musica per ragazzi dai dieci ai sedici anni. Quelle sono persone che comprano la maggior parte della musica. Hanno soldi da spendere. Una volta che sono diventati diciottenni ed escono per il mondo, devono pagare auto e affitto e tutto quel genere di cose. Il pubblico che stiamo cercando di agganciare qui sono i ragazzi dai dodici ai sedici anni. Non penso che i ragazzi si relazioneranno davvero con te, ma penso che possiamo ottenere una relazione con le ragazze. Il modo che abbiamo per conquistare le ragazze è attraverso la scrittura di canzoni che abbiano un doppio significato sessuale. Nel cantautorato è detto doppio senso. Riflettevo su questo, e ho scritto una canzone che ha sfumature con doppio senso sessuale. Penso che questo dovrebbe essere il tema commerciale da usare per promuoverti, perché credo che sia un’emozione molto forte alla quale puoi rapportarti e legarti con gli adolescenti. Ti darà un’identità.”
Disse, “Ok, è davvero fantastico. Davvero figo. Come si intitola la canzone?” Dissi, “La canzone si intitola ‘Soft and Wet.'” Questo fu il suo primo successo. Chiese, “Qual è il doppio significato?” Dissi, “Allora, non lo sai?” Rispose, “Capisco il significato sessuale.” [risate] “Qual è il doppio senso?”
Dissi, “il doppio senso è -avanzerò rapidamente di cinque anni. Mia madre sentì questa canzone, ed era una donna britannica per bene. Sentì ‘Soft and Wet’ alla radio. Venne da me di fronte alla mia famiglia al completo al tavolo da pranzo. Disse, “Figlio, ho sentito la tua canzone per radio. E’ fantastica, mi piace davvero ma cos’è “Soft and Wet?” Ora, ero lì, con davanti mia madre, che, come ho detto, è dritta come una freccia, le ho detto, “Mamma, riguarda un bacio.” [risate]
Spiegai a Prince che riguardava un bacio “era una posizione sostenibile. Potevi dire cose che erano decisamente sessuali ma che potevano anche avere questo lato innocente. Crea un’efficace attività commerciale. Andiamo con questo. Abbiamo bisogno di avere un nome e abbiamo bisogno di avere un colore. Queste cose devono lavorare insieme. Ora, parliamo del nome.”
Disse, “Ok, so quale sarà il mio nome.” Dissi, “Bene, so quale nome dovresti avere. Assicuriamoci di essere d’accordo. Lo dirò per primo -penso che il tuo nome dovrebbe essere Prince.” Mi sono seduto aspettando che parlasse, “Sì, certamente, ovvio.” Disse, “Ascolta, io non userò mai, mai, quel nome. Lascia perdere, non funzionerà, non sono d’accordo, no, no, no.” Il vero nome di Prince era Prince Rogers Nelson. Ora, proveniendo dall’agenzia pubblicitaria, imparando come il tuo nome impatta sulle cose, pensavo che avessimo ricevuto un regalo. Dissi, “Abbiamo un Re…ma non c’è mai stato un Principe. Questa è una grande immagine sulla quale lavorare.” Potevo vedere esattamente come il pacchetto si avvolgeva attorno a Prince. Disse, “No, no, no, no no, no.” Ne era fortemente contrario. Di fatto, la discussione che quasi ci rovinò come gruppo di compositori andò avanti tre mesi. Fu la più grande divergenza che avemmo. Probabilmente ti starai chiedendo, “Quale pensava dovesse essere il suo nome?” Dopo che mi disse che non voleva usare il nome Prince e che non sarebbe mai e poi mai successo, dissi, “Va bene, che nome stai pensando di usare?” Morivo dalla voglia di sentirlo perché non sapevo dove volesse andare a parare. Disse, “C’è solo un nome che potrò mai usare.” Dissi, “Ok, qual è?” Disse, “Voglio solo che tu capisca che qui c’è un’unica possibilità che prenderò mai in considerazione rispetto al mio nome.” Dissi, “Ok, qual è?” Disse, “Voglio essere conosciuto come Mr. Nelson.”
Interessante.
Moon: Alla fine, dopo tre mesi, gli dissi, “O si fa a modo mio, o non lavorerò più con te perché non posso rendere famoso un Sig.r Nelson. Dio non potrebbe far diventare famoso un Sig.r Nelson. Come nome non funziona. Se continuiamo a lavorare insieme e se io continuo a pagare tutte le bollette e a garantire tutto il tuo tempo, dovrà essere Prince.” Non gli piaceva per niente. Voglio dire, non fu un bel giorno per noi, ma immagino che non avesse scelta..
Dopo che ci accordammo per “Prince”, dissi, “Adesso ci serve un colore.” Dissi, “Prince è regalità, sicché c’è solo un colore che possiamo scegliere. Deve assere il viola.” Perché il viola è il colore della regalità. Era d’accordo con me, e non avemmo problemi su questo argomento. Questo è davvero come fu ideata e costruita la sua immagine nel corso dell’anno nel quale lavorammo insieme e come il concetto delle allusioni sessuali fu sviluppato nei suoi testi e uscì nel suo primo successo.
Non immaginavo.
Moon: La maggior parte della gente non lo immagina. Non so cosa pensi la maggior parte della gente. Penso che creda che avesse tutte queste idee e che lavorasse nello studio e dicesse questo è come verrà fatto, ma non andò affatto così. Non ho mai sentito nessuno che l’abbia riportato in questo modo. Ma questo è precisamente, al cento per cento, come si sviluppò e perché si ideò quello che accadde. Se guardi indietro, si tratta davvero di una serie di occasioni fortunate che si allinearono tutte insieme. Ecco perché ho detto, penso che da quell’anno fosse già nato nello studio, perché, dal momento in cui se ne andò, io scrissi tre delle quattro canzoni del suo demo. Aveva un’identità. Aveva il nome. Aveva il colore. Aveva un’immagine commerciale che lo accompagnava.
E poi andai e trovai il suo manager per aiutarlo a gestire la sua carriera, che era Owen Husney, che era qualcuno che conoscevo. Entrò come un ragazzo timido e uscì come un artista confezionato. Lasciami chiarire: io non l’ho creato. E’ stato solo -se non ci fossimo incontrati, ciò che accadde non sarebbe successo. Aveva il talento. E’ stato solo che qualcuno aveva bisogno di tirarglielo fuori. Aveva bisogno di un’opportunità. Viene da chiedersi quanti altri ragazzi dei quartieri poveri, che hanno tutto il talento del mondo, vogliono essere famose superstar ma solamente non hanno un’opportunità.
Quando hai iniziato a lavorare con lui come artista solista, dove eravate posizionati nello studio? Lavorava fianco a fianco con te?
Moon: Ci siedevamo insieme alla panca del pianoforte. Avevo una voce abbastanza stonata, ma nella testa avevo molta melodia. Così siedevamo insieme al piano. Lui suonava la musica. Scriveva la musica, e io scrivevo le parole. Insieme lavoravamo agli arrangiamenti. Dopo che facemmo tre canzoni per questo demo -forse complessivamente facemmo quindici canzoni, capii che lo stavo portando su una strada che a lungo andare non gli sarebbe servita. Aveva bisogno di fare queste cose da solo. Così gli dissi, “Per il tuo nastro dimostrativo, voglio che tu faccia una canzone tutta tua. Voglio che scrivi le parole. Voglio che la produci, la mixi, che fai la musica e che fai tutto senza aver a che fare con me, perché hai bisogno di sapere che puoi farlo anche senza di me. Non hai bisogno di dipendere da me per far uscire la tua espressione artistica.” Così la quarta canzone del suo demo fu una canzone che fece completamente da sé dal titolo “Baby.”
Che attrezzatura e strumenti avevi nel tuo studio?
Moon: Bene, all’epoca facemmo tutti questi brani su un otto tracce, un registratore a bobine TASCAM. Non avevo molti soldi. Avevo costruito il mio studio di registrazione dai proventi della vendita di aspirapolveri. [risate] Era stato messo insieme con centesimi e monete prese qui e là. Quindi non era la miglior attrezzatura del mondo, ma senza dubbio entrambi eravamo entrati con più passione che soldi. Così una delle cose che facevamo con lo studio era, sperimentavamo -ho sempre detto a Prince che volevo davvero sperimentare un sacco. I Beatles avevano fatto una grande impressione su di me. Eravamo abituati a fare cose all’incontrario, dove il nastro viene suonato al rovescio. Facevamo suoni con vasi, pentole e cantavamo attraverso i tubi dell’aspirapolvere. Li facevamo oscillare e facevamo passare tutti i tipi di canto dentro un altoparlante di organo Leslie. Facevamo tutti i tipi di cose strane. In quel periodo, usavamo un microfono dinamico Shure SM58s. Usavamo microfoni vocali AKG C414s e microfoni Sony Condensers. Poi avevo alcuni compressori Urei. Avevo un ragazzo che mi aveva costruito un effetto phaser/flanger. Non era niente male.
Abbiamo messo quella roba in un rack e non era l’attrezzatura più costosa ma la usavamo per fare molte multitracce. Così facevamo tre voci, poi le mixavamo facendone una sola, quindi facevamo altre due voci e le mixavamo ottenendone una e poi mixavamo queste due creandone una, e ancora stratificavamo le nostre voci perché avevamo solo l’otto tracce con cui lavorare. Ci scambiavamo continuamente idee come pazzi. Perciò questa era l’attrezzatura dello studio. E poi dedicavamo davvero tutto il tempo libero di ogni giorno o di ogni fine settimana. Si arrabbiava sempre così tanto quando mi allontanavo per fare qualcos’altro anziché lavorare e stare con lui. Dopo essere diventato famoso mi chiamò. Accadde tre o quattro anni più tardi. Mi chiamò inaspettatamente e dissi, “Ehi, Prince. Non ti sento da tanto tempo.” Chiese, “Cosa stai facendo? Sono così solo. Sai, non pensavo ma quando sei famoso non capisci perché le persone stanno con te. Vogliono tutti stare con me. Tutti vogliono essere miei amici. So che mi vogliono solo per i miei soldi e la mia notorietà. Mi sento così solo perché non posso davvero fidarmi di alcun legame che ho con qualcuno. L’unica persona che abbia fatto qualcosa per me, senza davvero volere nulla in cambio, sei stato tu.” Ciò che sentivo in quella chiamata telefonica era lo stesso ragazzino di sedici anni, il ragazzo un po’ spaventato che cercava di cantare nel mio studio, ora esposto al mondo, famoso pieno di soldi, che si rendeva conto di essere ancora spaventato. Era comunque un mondo solitario malgrado avesse raggiunto il suo sogno e nella vita avesse ottenuto ogni cosa che desiderasse, ma non era davvero il traguardo di tutto quello che avrebbe potuto diventare. In realtà, ho dato un’intervista alla BBC. La BBC mi ha fatto una domanda interessante. Mi hanno chiesto, “Come ti senti rispetto all’aver scoperto Prince e aver lavorato con lui?” Dopo che è morto mi sono fatto davvero questa domanda e non sono sicuro di avergli davvero fatto un favore. Penso che se dovessi tornare indietro per rifare tutto daccapo, vorrei non averlo scoperto. Vorrei non averlo portato dove l’ho portato. E forse avrebbe avuto una vita del tutto ordinaria e avrebbe sposato una ragazza normale, con una famiglia comune e avrebbe vissuto veramente una vita ordinaria e sarebbe stato più felice. Il mio accordo con Prince fin dall’inizio è stato il quello che avrei fatto qualsiasi cosa pur di renderlo famoso. C’era solo una cosa che volevo. Chiedeva, “Cos’è?” Dicevo, “L’unica cosa che voglio è che per ogni canzone che scriviamo insieme tu mi dia i crediti per le mie canzoni. L’unico motivo per cui faccio questo è che amo la musica. Mi piacerebbe vederti andare là fuori, e mi piacerebbe vederti andar là fuori con almeno una delle mie canzoni.” La gente dice, “Fantastico, se tu potessi tornare indietro e rifarlo, non desidereresti metterlo sotto contratto? O non vorresti una percentuale più grande?” Dico, “No, perché ho ideato tutto il pacchetto che lo riguardava e abbiamo finito il suo demo.” Venne da me e disse, “Voglio che tu sia il mio manager.” Dissi, “Non esiste. Non ho alcun interesse ad essere un manager. Faccio questo perché amo la musica. Non mi interessa prenotare i tuoi hotel, assicurare che tu abbia un volo e vedere se hai cibo in camera. Queste cose non mi interessano affatto. Troverò qualcuno che lo faccia, ma non sarò un manager. Non è un lavoro che mi interessa.” Gli trovai un buon manager. Con lui feci la parte che volevo fare.
Come lo portasti da Owen Husney?
Moon: Owen era manager di altri artisti; all’epoca un artista folk stava registrando nello studio. Così Owen ogni tanto passava nello studio e mentre registravamo sedeva con me. Lui lavorava con questa formale e composta coppia di ragazzi bianchi che cantavano canzoni folk. Ma era un manager rispettabile. Era un buon uomo d’affari. Aveva una piccola agenzia pubblicitaria e aveva le conoscenze delle basi dell’agenzia pubblicitaria e degli elementi di marketing, che avevo usato per Prince, che doveva sfruttare al passo successivo. Pensando di cercargli un manager Owen mi venne in mente abbastanza rapidamente perché lo conoscevo. Sebbene fossi un tecnico del suono, produttore, compositore, ero innanzitutto un commerciale. In tutta la mia vita avevo fatto marketing perciò era una mia passione. Owen era la persona naturale alla quale passare il testimone. Non dimenticherò mai la frase che usai quel giorno. Dissi, “Owen, ho il nuovo Stevie Wonder. Può suonare tutti gli strumenti, ha sedici anni, ma non è cieco.”
Fu la mia presentazione. Feci andare questo demo di quattro canzoni che avevo scritto e prodotto con Prince. Disse, “Ok, non è male. Lasciami ascoltare.” Continuai a pensarci per il resto della settimana, ogni giorno, dicendo, “Owen, devi spenderci altro tempo? Hai ascoltato il nastro?”
Allora, dopo circa una settimana, venne e disse, “Ok, lo sto ascoltando. Penso che qui ci sia qualcosa.” Penso che non abbia fatto altro che andare a farlo ascoltare ad altri e a iniziare a riceverne un buon riscontro. Così disse, “Sì, penso che qui hai qualcosa. Mi piacerebbe lavorare con il tuo artista.” Dissi, “Non sto cercando nulla di particolare. Lo affido a te. L’unico accordo è lo stesso accordo che ho fatto con Prince. Ogni cosa che ho scritto che uscirà, voglio essere sicuro che mi venga attribuita.” Owen da quel momento se ne occupò e gli procurò un contratto con la Warner Bros.