Mostra Dopo La Pioggia

Monster diary pt.2

(diario della mostra)

Ogni giorno funziona così. Entriamo e come l’FBI ognuno va ai propri posti di combattimento. Sistemo le piccole casse sopra le fotografie. Faccio partire la playlist e mi assicuro che i brani di Prince non suonino in ordine cronologico. Sarebbe un sacrilegio.

Come sono egocentrico

Siamo seduti al tavolo con le nostre letture a farci compagnia; Artepassante fornisce una biblioteca di riviste e libri dedicati alla fotografia. Una collezione di Progresso Fotografico che risale agli anni 60 e un’altra della rivista Photo che arriva fino agli anni 80. Dentro ci sono una miriade di idee. Di ricordi e il ritratto di un’Italia che non esiste più. Poterle sfogliare e fare un salto nel tempo è un regalo inaspettato di questa mostra .

Entra un signore che ci chiede di firmare il catalogo della mostra. “Ho visto il concerto del 1988” ci dice. Io mi emoziono e non ce la faccio a lasciare una firma; firma Giovanna. “Sarei una pessima rockstar” penso. Passa il tempo. Non entrano molte persone, ma noi ci sentiamo orgogliosi di ogni sguardo che incrocia le nostre foto; le dimensioni degli ingrandimenti sono tali per cui le persone le possono osservare mentre passano. Bello rimanere qualche minuto nelle retina di questi sconosciuti.

Cammino avanti e indietro. “Magari mi scambiano per un visitatore e altri mi seguono” penso. Mi fermo davanti ad alcuni scatti che so di avere sbagliato. Mi avvicino all’ingrandimento sperando che l’errore sparisca. Ho in mente un visitatore che ha indicato con il dito proprio dove l’errore è più evidente. Mi mordo ogni volta le labbra per quello scatto. Le nostre foto sono come noi; documentare ciò che i nostri occhi avevano visto. Non vogliamo commentare o giudicare nessuno.

C’è un signore che pulisce l’area di passaggio intorno alla mostra. Cammina adiacente alla vetro che costeggia l’entrata. Ogni tanto butta un occhio verso di noi. La galleria che unisce le due fermate sembra un “non luogo”. Ci sono delle dinamiche che non vedi quanto passi per andare a lavorare.

Un altro signore entra. Guarda con attenzione tutte le foto. Ci fa prendere uno spavento quando, trasportato dalla sindrome di Stendhal, urta contro il divano e per poco non va per terra. Poi sparisce dietro alla ricostruzione della recinzione di Paisley Park. Lì sopra troneggia una maglietta fatta fare da mia mamma, prima della mia partenza per gli USA nel 1996. Fu una sorta di benedizione della mia passione per Prince.

La mostra ha compiuto una settimana.

blog · Mostra Dopo La Pioggia

Monster diary pt.1

(diario della mostra)

I due giorni di allestimento mi hanno distrutto. Sono stato travolto dall’emozione e sono partito come un razzo. Ma anni di “lavoro” davanti a un computer mi hanno trasformato in una mammoletta; quando c’è da darsi da fare veramente con martello, ramazza e chiodi perdo le forze. Poi mi guardo in giro e vedo l’energia e il sentimento che abbiamo portato in questo luogo e riprendo a lavorare.

Corriamo avanti e indietro, perché abbiamo solo un martello, le puntine sono nella scatola e dobbiamo ancora decidere quale ricordo giallo vorremmo appendere. Avevamo contato una ventina di foto, ma è così complicato sceglierle. Non è complicato. È impossibile. Se Artepassante c’avesse dato altro spazio saremmo andati avanti fino alle soglie della fermata di San Babila.

All’ultimo momento mi rendo conto che manca la musica. Portiamo l’ingombrante lettore cd o le casse neroazzurre senza fili? Ma sono scariche, diamine! (Beh, non ho proprio detto diamine…). In auto usiamo Spotify per creare una playlist per la mostra. La regola è semplice: un brano per ogni disco. Ci sono With You (la nostra canzone), The Morning Papers, Condition of the Heart, Electric Intercourse.

Arriviamo ma è ancora chiuso. Allora, via a prendere le chiavi. “Il suo nome?” mi chiede il tipo della stazione. Sbrigate le formalità, con le chiavi corriamo ad aprire. C’è da rifinire la recinzione di Paisley Park. È bellissima! È uguale a quella di Chanhassen dei primi giorni di giugno. Provo lo stesso senso di assenza e di presenza; avremmo voluto sentire la sua musica in quel luogo suburbano. Tyka non ci ha mai risposto.

Francesco è il primo ad arrivare. Ci chiede “cosa avete provato quando eravate là?” Quel luogo, gli dico, è immenso per un uomo così piccolo. L’ha costruito solo con la sua immaginazione. Ancora mi guardo in giro. Guardo le foto e cerco uno scatto che riesca a far capire alle persone le dimensioni di Paisley Park. Poi, gli vorrei dire, che strano pensare che alla fine ci viveva da solo. Come un anziano nonno in compagnia dei suoi ricordi. Da lì sono passati tutti. Kim Basinger, Madonna, Alicia Keys, Lenny Kravitz, le sue mille donne, Mayte e i loro sogni di una famiglia. E chissà quante altre storie che solo lui sapeva.

Due ragazze si fermano a chiederci notizie: “perché avete scritto che non festeggiava più il compleanno?” Sorrido dentro di me, perché sento che ha funzionato quella voglia di stuzzicare la curiosità verso Prince. Rispondiamo, quasi in coro e con l’aiuto di Francesco. Raccontiamo la storia dei Testimoni di Geova, del figlio con Mayte e dell’arrivo del cattivone che lo porterà sulla cattiva strada.

Arrivano altri amici fan di Prince come noi e entriamo in quel luogo surreale che Prince ci ha regalato. Quel senso di fratellanza, che avevo scoperto a Paisley Park. Abbiamo un amico in comune, che ci ha dato tanti bei momenti e ora non c’è più. Vorrei tanto raccontare la nostra storia. Ci sono le foto. Ognuno di noi ha un racconto. Li ascoltiamo diligentemente tutti. Ognuno racconta la propria storia come se fosse speciale. Come se Prince fosse solo suo. Tutti sono proprietari di un pezzetto di Prince. E mentre gli altri parlano mi viene in mente che la nostra mostra fotografica nasce proprio per dire agli altri che Prince è di tutt. Non solo nostro. Poi mi ricordo dell’immagine dell’entrata degli studi. 7501 Audubon Road. Del cartello.

Prince non c’è più.