Manca sempre uno per fare trentuno (ventuno)

Questi sono i giorni del selvaggio

Tratto dal libro: “Manca sempre uno per fare Trentuno (Ventuno)”

Dopo il fallimento della sbornia pop dei primi anni 90, Prince aveva deciso di tornare a fare una musica più cruda. Più simile a un chissene. Con Diamonds and Pearls aveva inseguito i voleri degli avvocati della Warner e in termini di crana qualche risultato l’aveva ottenuto. Una maggiore presenza nei media con conseguente successo nelle classifiche. Nuovi collaboratori, forse più prolifici, ma meno di talento. Levi Seacer Jr sapeva il fatto suo quando venne assunto a tempo pieno come direttore musicale e autore, ma l’effetto globale sulla musica di Prince era sconcertante per quanto fosse diventata banale e ripetitiva. Solo quando Prince tornava a gestire le cose in prima persona si sentiva che le note uscivano dal suo apparato dirigente, altrimenti avevano qualcosa di stantio, di già sentito e (a volte) di inutile. Diamonds and Pearls era sempre con me. Avevo ottenuto un lettore cd portatile e non uscivo mai senza. Saltavo alcune tracce, Prince ti chiedo scusa, ma chi non l’ha mai fatto? Intanto leggevo la biografia A Pop Life e mi domandavo: «ma mentre Prince faceva Purple Rain, 1999 e Dirty Minds io dove ca**o ero?»

Con la musica di Prince c’era la netta sensazione che arrivasse direttamente dalla sua camera da letto senza finestre. O dal suo intestino. O dalla sua pancia. Non c’erano filtri. Paisley Park era diventato il luogo dove la creazione aveva inizio e grazie agli strumenti elettorali che si usavano all’epoca veniva trasportata a casa mia. Nella mia cameretta io lo ascoltavo e come in un messa di mezzanotte abbracciavo le cuffie sulle mie orecchie chiudevo gli occhi e ero lì con lui sul palco di Glam Slam. Guardami negli occhi Prince. Non avevo a disposizione la rete per capire queste cose. Oggi ho troppe informazioni e dimmi cosa è vero.

Negli anni 90, l’ho già raccontato?, passavo in rassegna tutti i negozi di cd di Milano per trovare remix ed edizioni speciali. Tre volte all’anno si materializzavano i crucchi a Novegro e ci vendevano le dosi della droga, cioè i bootleg dei concerti. Finì così che mi ritrovai tra le mani il Minneapolis 1994, il nastro l’ho consumato a forza di ascoltarlo sotto la doccia, fingendo di suonare l’assolo di chitarra. Il Prince che ne esce è quello incazzato che ha una gran voglia di chiarire le cose come stanno. Tanto simile a quello del Black Album. Io stesso (storia vera) mi ero imbattuto in un diversamente etero che, sentendomi citare l’introduzione di Lovesexy (“Rain is wet, sugar is sweet”), mi aveva riportato le parole delle Girls Bros: «Guarda che Prince è gay! me l’hanno detto Wendy e Lisa».

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